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Leonardo Mancino - Arcipelago Itaca

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Da La Vallemme dentro, 2000<br />

Gianni<br />

Caccia<br />

64<br />

x<br />

potevo più tornare per loro, ma da loro, da come li avevo lasciati, se mai. Cesco lavora ad Alessandria, in ufficio: di lui si dice che certe<br />

domeniche di nuvole, dove l'aria stocca come in questo mattino prende su con la macchina e sale a Voltaggio, poi discende fino al confine,<br />

al ponte poco prima dell'Iride, e da lì rigira per la strada dei Fascioli. Anche a Cesco prude il paese, evidentemente; ha strappato con<br />

Claudia e da un pezzo abdica dalle vasche in giù per Novi, il sabato pomeriggio. La gente è sempre uguale, ripeteva alla mia ultima<br />

scappata, o piuttosto non sono gli stessi perché quelli della nostra età non vanno più, per la nostra età è finita con le vasche. Fren invece si<br />

è placato e non smania più per un qualsiasi altrove, i suoi nervi torrenziali hanno esaurito la piena arenandosi nel sedime della<br />

soddisfazione; si fa vedere molto meno e certe sere i buschetti del Lemme ospitano volentieri la sua macchina.<br />

Non mi è stato mai detto di Sandra: so che è impegnata, ma anche lei è rimasta alla sera delle birre, al rimprovero inciso nel luccichio<br />

sofferto degli occhi che mi studiavano e nella bocca che si conteneva dal ridere. Poi venne il saluto contro ogni attesa, la carezza delle<br />

labbra sulla guancia e il sussurro atono, ci mancherai; ma si è girata subito dagli altri, non curando la mia uscita. Ho avuto più volte l'idea,<br />

che potevo esserci e dare un seguito; e ne sono sempre rifuggito, preferendo il comodo di braccia straniere che mi facevo piacere a forza,<br />

secondo la lotta di due voglie. Così ho ottenuto Inge, scontrosamente tedesca con la sua voce baritonale non da donna, come i capelli neri<br />

sembravano negare l'origine che poi rinvenivo tutta nella lama sorridente dello sguardo e nel camminare sciatto. Forse per questo mi ha<br />

degnato: per quell'essere sospeso come lei, incerto da che parte venissi. E poi sudavo un po' di cultura, strana cosa per chi guida autocarri;<br />

mi aveva anche trascinato a teatro, qualche sera, e mi bastava. Ma ben altra è la traccia che mi ha arato sulla pelle Maria, un segno lento<br />

come un salice che solo nel tempo, verso questo ritorno, ho fatto pienamente mio. Lavorava in una Gasthof su una delle strade che mi<br />

portavano d'abitudine per la Germania. C'erano camere sempre libere ed ero certo di poter fissare lì la mia dimora per una notte, se non<br />

volevo proseguire; tanto il rendiconto avviene sempre al mattino, l'ho capito presto. Accoglieva i miei ingressi col ritegno di chi non si<br />

sbilancia anzi tutto, trattandomi uguale a ogni altro ospite del suo lavoro, come anch'io rientrassi senza meraviglia nelle probabilità che<br />

aveva circoscritto lavando e risciacquando, piatto per piatto, bicchiere per bicchiere. Mi faceva un po' di cucina italiana e senza quasi<br />

volerlo ci attardavamo a parlare, dopo la chiusura o quando i clienti erano radi. Una ritrosia primitiva annidava nei capelli corvini, nelle<br />

sopracciglia spesse e nella peluria appena accennata del mento; gli occhi di nocciola scuro amavano appuntarsi al tavolino o alle mie mani<br />

nervose che fremevano sulla tela cerata, a volte invece si aprivano ridendo di una diffidenza animale. Stupiva della mia eresia, di come un<br />

tipo con un diploma che doveva condurlo ad altri pezzi di carta avesse deciso di fare semplicemente quel mestiere.<br />

- Ma non è proprio camionista, - spiegavo. - Quelli vanno con i TIR. Io giro parecchio per le spedizioni, Milano, Zurigo, Stoccarda, ma<br />

porto solo un autocarro.<br />

In realtà mi rispondevo che stavo a mezzo anche in quello, anche nel cercare inquieto di lei, nell'osare con paura la mano, la bocca, il<br />

corpo tutto; così era stato piuttosto un lasciarsi guidare alla sua stanza, un visitare la sua pelle in un abbraccio di carne. Non chiedeva oltre<br />

se mi vedeva sazio, con la mano tra le sue gambe che all'improvviso si stringevano dolcemente a tenaglia, sancendo il contatto. Una volta<br />

non sembrava contenta e fece la prova di negarsi, di chiedere più di quanto era stato.<br />

- A che serve, se le altre sere dormo da sola?, - protestava. Ma poi rinnovò il patto e mi riammise alla sua intimità schiva, che mai avrei<br />

scelto per intera. Perché qui era la ragione di Maria e delle mie soste alla Gasthof, fuori rotta dalla solita Autobahn: era la facoltà di<br />

prendersi, lasciarsi senza pegno e ugualmente riprendersi, solo per guadagnarne un piacere proprio e farne parte, solo perché un caso ci<br />

consentiva uniti. Secondo il rito sdegnavo la camera in cui era posato il mio borsone non disfatto, poca roba, e salivo per le scale lucide, di<br />

legno pulito, fin sotto il tetto, fino al buco che le concedeva Herr Obermayer, il padrone obeso di birra e con pizzetto infido, decurtandolo<br />

dal mese;

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