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Leonardo Mancino - Arcipelago Itaca

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Da La Vallemme dentro, 2000<br />

Gianni<br />

Caccia<br />

67<br />

x<br />

UNO SQUARCIO NEL CIELO<br />

Non c’era di vento, eppure un'aria maligna trovava ogni varco traverso gli abiti per attaccarsi alla pelle. Il cielo violaceo scendeva sul<br />

mare con la sua calma di piombo, e nel mezzo il traghetto filava sicuro, rinchiuso in un’enorme gabbia senza sbarre dove l’immenso livore<br />

del vuoto si era disteso a cancellare il segno di ogni terra: anche lì, sulla vernice lattiginosa del ponte, saliva col freddo a prendersi, senza<br />

premura, quell’ultimo puntino di bianco che andava nel nulla. Ma proprio in un tratto sgombro vicino alla poppa gli occhi puntavano ciò che<br />

mi teneva sdraiato spalle all’acqua, sul fascio di corde che aveva il taglio stesso dell'aria, perché non scorgessi dentro tanto nulla il principio<br />

del disegno che prendeva forma sul ponte: lenta, poco più in là dei miei piedi avvampava una macchia, all’inizio vaga, come una finta, un<br />

fantasma nato da qualche pensiero, ma poi si allargava più netta e ritagliava i propri contorni nel bianco di nave impastato del mare, fino a<br />

spiccare d’un arancio scialbo, ma vivo in quel correre verso chi sa quale porto. E insieme l’impulso del gesto, la tentazione di alzarsi dal<br />

cordame e torcere il capo verso lo squarcio di luce che doveva esistere dentro tutto quel cielo, da qualche parte dietro di me.<br />

- Lo sai che non devi guardare.<br />

La voce di Georghios mi colse nel fallo, mi forzava a buttare di nuovo gli occhi oltre i miei piedi, al riflesso di quella luce che non sapevo<br />

mirare all’origine. Ero impedito dalle sue parole e non osavo alzarmi dalle corde un tempo bisunte. Me l’ero trovato vicino, intanto che<br />

godevo di bermi il freddo del ponte; non c’era sospetto di altro, all’infuori del taglio uniforme che muoveva tutti quei giorni da una<br />

partenza poco reale, quando mi ero sdraiato spalle al cielo e avevo chiuso gli occhi al livore. Un suono leggero sul legno alla mia sinistra e li<br />

avevo riaperti: Georghios mi stava fissando e aveva iniziato a lanciarmi mozziconi di frasi.<br />

Mi sporsi, di poco, verso di lui. La faccia lasciava intendere una giovane età già scavata dal sale. Anni, ormai, di traghetti e di onde<br />

avevano inciso la pelle abbronzata, gli occhi smorti e i capelli avevano preso il colore della spuma. Teneva anche lui lo sguardo in avanti, le<br />

dita ingiallite di fumo si intrecciavano attorno alle gambe. Aveva detto poche parole, quanto bastava. Le ultime erano state solo un<br />

richiamo, un monito per non dire ancora.<br />

- Però hai lasciato sospesa quella storia, - cercai di riprendere. - La storia di Haghios. C’entrava con la luce dietro di noi, vero?<br />

Georghios provò a sorridere, ma era un sorriso di sale come il suo corpo.<br />

- Ti ho detto di non guardare. Non c’è bisogno di altro. Contentati del suo riflesso: è bello, in quest’acqua e in questo cielo di nuvole, di<br />

uguale acqua. Ma forse il suo bello sta nell’essere solo un riflesso, che ha perso di vita e di forza dalla luce vera. Quella sarebbe troppo per<br />

te, e ti porterebbe via.<br />

Nonostante tutto Georghios era tentato di dire, ma sperava che io mi facessi bastare quel poco; le sue pretendevano di essere parole<br />

scarne come la debole copia di luce discesa sul ponte, da contemplare senza paura. Seguendola avevo lentamente osservato che non era<br />

ferma, danzava ora più larga, ora più stretta per sfuggire a una presa, ma non voleva andarsene via. O non era piuttosto la sua danza un<br />

gioco, un invito a voltarsi, a congiungersi alla luce più vera? Mi tirai un po’ su con la schiena.<br />

- Ora mi alzo, e la guardo.<br />

- Io non ho conosciuto Haghios. È una storia trasmessa dal mare.<br />

Georghios mi aveva afferrato il braccio e la sua voce si stava sciogliendo. Anche il suo alito odorava di sale asciugato dal tempo.<br />

- È la prima storia che ho appreso quando mi sono imbarcato qui. Me l’ha raccontata Oscar, il cuoco. Ero andato in cucina a prendere un<br />

po’ di colazione e lui, come fosse la cosa più naturale, esordisce: “Te l’hanno detto della luce d’arancio nel cielo? Lo sai che non devi mai<br />

guardarla?”

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