Leonardo Mancino - Arcipelago Itaca
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Da L’attimo dopo, 2010<br />
Massimo<br />
Gezzi<br />
118<br />
Invece di diventare padre<br />
E poi quando sarete arrivati alla sponda,<br />
tirato in secco le barche<br />
e ripartiti, ognuno nella luce<br />
e nell’odore che gli dice che c’è un luogo<br />
abitabile nel mondo, dopo,<br />
quando è notte e le luci scompaiono<br />
una dopo l’altra: poi cosa fate per dormire<br />
come se fosse niente, se non fosse<br />
uno scandalo feroce lo strato d’asfalto<br />
che ogni volta avete visto sovrapporsi a quelli sotto<br />
e fare spessa una strada?<br />
Come potete amare i vostri figli,<br />
i profondi misteri che gli si annidano<br />
negli occhi, il lampo di riso<br />
che si accende quando girano<br />
il volto verso il vostro e voi sapete<br />
che se un giorno andrete via<br />
non importa, non importa più di molto,<br />
perché loro resteranno e vedranno<br />
un’altra volta la luce che solleva<br />
le antenne e si dirama per i vicoli?<br />
Come fate ad amarli, se sapete<br />
che la sponda poi arriva, e il pane che dividete<br />
sulla tavola con loro tra poco sarà<br />
un’altra notte, un altro sogno<br />
(ed è grazia, questo, per voi, questo è tutto)?<br />
Dietro una finestra<br />
L. behind the window<br />
Tutti dentro i pini, gli storni addormentati –<br />
e là dietro, una fiamma di candela esterrefatta,<br />
provvisoria, riprodotta<br />
a distanza di chilometri e di anni<br />
da una memoria che non si sgretola –<br />
e oltre la finestra, in quella stanza popolata<br />
che fa della notte una cornice, una nuvola,<br />
lei che stende i suoi panni<br />
ballando su una musica di cui si sentono<br />
solo i quarti, lei in quella luce di candela<br />
esterrefatta, ignara degli storni,<br />
poco prima della consegna delle chiavi<br />
e della scheggia di intonaco che cade<br />
e si annida nella fuga del pavimento.<br />
Partono da qui le parole<br />
che percorrono la ronda dei corridoi<br />
e si abbattono sulle porte, mentre fuori<br />
il respiro collettivo degli uomini ronza,<br />
e l’ultimo riflesso dello specchio<br />
sprofonda fuori campo, tradisce la vista<br />
che l’aveva originato, rimanda<br />
l’invisibile a un corpo,<br />
a un ritmo di luci e di penombre l’aria chiara.