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Leonardo Mancino - Arcipelago Itaca

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Su L’attimo dopo<br />

[…]…in che cosa consiste essenzialmente la compiuta bellezza di questo “L’attimo dopo” di Massimo Gezzi? Innanzitutto, nella cadenza ritmicosintattica<br />

che l’autore imprime al suo dettato poetico: i suoi versi hanno un empito, un respiro che si direbbe ‘classico’, frutto anche della<br />

notevole padronanza ritmico-formale che viene esibita quasi sommessamente dal poeta; eppure, al tempo stesso, queste liriche paiono tanto<br />

sincroniche ai tempi nostri, come se fossero incrostate da una fulgida patina di contemporaneità. Gezzi ostenta senza timore il suo debito di<br />

riconoscenza verso grandi nomi della lirica del ‘900 la cui importante lezione sembra tanto nitidamente rivista e riletta in queste liriche: mi<br />

riferisco a nomi come quelli di Sereni e Montale, di Fortini e di Giudici. Ma Gezzi non si accontenta di cifrati richiami o di vaghe citazioni, ma<br />

arriva addirittura all’omaggio esplicito che diventa quasi un calco dichiarato, un prestito esibito. Due esempi fra tutti: “Ho sceso le scale del<br />

condominio” (da la poesia “Una parola non detta”) che recupera l’incipit di un celebre xenia montaliano “Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un<br />

milione di scale”; oppure nella poesia “Sul molo di Civitanova” l’allitterante enjambement “la fede/ nel frenetico farsi delle foglie” che non può<br />

non riportare la memoria al D’Annunzio de “La sera fiesolana”: “Fresche le mie parole ne la sera ti sien come il fruscío che fan le foglie”. Ma<br />

questo attraversamento della tradizione non è inerte o sterile: Gezzi infatti, ribadendo i suoi legami con essa, ne attesta quasi la demolizione, la<br />

distruzione, lo sbriciolamento perché le contaminazioni e le combinazioni che subiscono questi innesti all’interno del suo dettato poetico<br />

conducono le sue liriche verso un luogo irrimediabilmente altro, differente, radicalmente diverso dalla tradizione del nostro 900: un sorta di<br />

oltraggio, di parricidio (poetico, beninteso) che nasce però da un atto di riconoscenza. […] …la poesia di Gezzi è poesia anche eminentemente<br />

corporale e materica: corporale pensando all’attenzione quasi ossessiva che il poeta riserva a ciò che viene cancellato, abraso via dal corpo<br />

umano, gli scarti e le deiezioni la cui esistenza caduca ed effimera sussume quasi una valenza allegorica (i capelli sul cuscino o nello scarico del<br />

bagno, la puzza d’aglio che non si riesce a mandar via dalle mani, un taglio sulla pancia, il bolo che scende nella rete fognaria,…)<br />

Ma anche materica (nisi materies aeterna teneret - se non le tenesse insieme una materia eterna-come recita il frammento lucreziano<br />

espressamente citato dall’autore) . Del resto è lo stesso Gezzi ad annunciarlo esplicitamente quando nella poesia “Venere davanti al sole”<br />

afferma: “la materialità dell’esistenza è cosa certa”. Una materialità che s’incista ed insiste ostinata anche in oggetti spuri o banali, del tutto<br />

inosservati e precari, ma che, trattati e riscattati dalla sensibilità del poeta, assumono una straordinaria incisività, un sovrasenso morale, una<br />

dimensione quasi epifanica. […] Sorprende poi in questa raccolta la puntuale trasposizione semantica che subiscono gli oggetti, provocata<br />

essenzialmente dalla presenza trasformatrice del tempo che ne muta aspetto e significato, assegnando loro un’orbita imprevista, una<br />

destinazione bizzarra, inattesa: i fari di una vecchia auto reclamata dalle radici del convolvolo, che ospitano nidi di vespe, i cancelli<br />

dell’università, che diventano passaggio e dimora di lumache. Questa vertigine metamorfica investe tutti questi oggetti di una altro significato,<br />

li scaraventa in una specie di universo altro e parallelo, che ne prefigura il destino, la paziente attesa di un disegno imperscrutabile e necessario<br />

a cui essi sembrano condotti. Oggetti spesso minimi e quasi impercepibili quelli che calamitano l’interesse del poeta, tanto trasparente ed<br />

eterea, fino ai limiti dell’inconsistenza, la loro natura. In realtà, proprio questa precarietà fenomenologica, li rende depositari di un mistero<br />

quasi ineffabile. […]<br />

Linnio Accorroni, testo letto il 18 giugno 2010 a Portonovo (An), in occasione della V edizione de La Punta della Lingua 2010 Poesia Festival,<br />

durante la serata dedicata alla poesia di Massimo Gezzi e Adelelmo Ruggieri<br />

* * *<br />

Le immagini e il bestiario della nuova raccolta di Massimo Gezzi sono rappresentati da una lingua come pochi sanno costruirsi, nell’attualità<br />

della recente poesia italiana e nelle vie strette dell’immaginario antropologico. Il libro ci dà una scossa repentina, anche se sappiamo che ci<br />

sono voluti diversi anni di difficile cammino, soprattutto per la sua natura di oggetto montaliano per eccellenza: e questo non è certo riduttivo<br />

nei<br />

Massimo<br />

Gezzi<br />

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