Perdita del centro - Università Gabriele d'Annunzio
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Seldmayr PERDITA DEL CENTRO 73<br />
ra più avanzata cerca, anche in un senso interiore, vedute extra-umane. È certo che<br />
ogni arte allontana a suo modo, violentemente o <strong>del</strong>icatamente, il mondo abituale <strong>del</strong>la<br />
realtà quotidiana per farlo apparire nuovo. Ma questo nuovo mondo è afferrato da un<br />
indomabile impulso che lo spinge ad oltrepassare nella sua concezione i confini di ciò<br />
che è solamente umano.<br />
Anche i temi usuali dei quadri eseguiti alla metà <strong>del</strong> secolo diciannovesimo ci appaiono<br />
ora come se rispecchiassero quelle estreme condizioni, davanti alle quali l'uomo<br />
- per così dire - si arrende spontaneamente, cioè durante un sogno febbrile, sotto<br />
l'impressione di un incubo, sotto l'influsso di veleni inebrianti o durante la narcosi, in<br />
uno stato di pazzia incipiente, o dominato dal terrore. Questi stati d'animo ai margini<br />
<strong>del</strong>l'umano evocano nuove inaudite visioni. Il mondo visibile e quello immaginato (ritratto,<br />
paesaggio, natura morta e tutti i generi di rappresentazioni figurate, nessuna<br />
esclusa, ivi compreso anche il quadro di soggetto religioso) divengono anch'essi estranei,<br />
sfigurati, terrificanti, problematici. I loro ordini vacillano e precipitano. La forma si<br />
dissolve, va in rovina, diviene fluida e caotica. I continenti "si volgono l'uno contro l'altro,<br />
si combattono e si compenetrano … con furia pazzesca e impeto <strong>del</strong>irante, con<br />
ebbrezza chiaroveggente, formando vortici vulcanici; si muovono col consenso di forze<br />
demoniache per giungere al laceramento di tutto l'essere". 140 Oppure l'uomo e il suo<br />
mondo vengono afferrati da una specie di estraneamento e di rigidità mortale: ciò che<br />
è familiare diviene estraneo e la natura vivente diviene ora per la prima volta veramente<br />
una "natura morta".<br />
È stato detto che l'arte greca si trova in uno stato di tensione tra due potenti forze<br />
universali ch'essa si tiene continuamente accanto e con le quali lotta durante tutta la<br />
sua esistenza per potersi affermare. Queste due forze primitive sono il caos e la morte.<br />
141 Nel suo furioso impulso di spezzare i legami con tutto ciò che è soltanto umano,<br />
la nuova pittura ha introdotto nell'arte queste due forze e con esse una terza forza,<br />
ancora ignota alla grecità, che ha cominciato ad agire soltanto nel medioevo: alludo<br />
all'inferno. Sono tutte e tre immagini che si contrappongono al senso umano. La rappresentazione<br />
<strong>del</strong> mondo sfigurato da queste forze forma la materia <strong>del</strong>la nuova pittura.<br />
La vicinanza <strong>del</strong>l'arte alla morte e alla sua agghiacciante atmosfera era stata già notata<br />
nella storia <strong>del</strong>l'arte: essa esisteva cioè in quell'arte anticlassica che viene superficialmente<br />
riassunta nel nome di romanticismo. In essa una sublime concezione <strong>del</strong>la<br />
vita, <strong>del</strong>la natura e <strong>del</strong>l'antichità erompe dagli abissi primordiali. Ma in questa situazione<br />
minacciosa si conserva la dignità <strong>del</strong>l'uomo. Nel romanticismo tedesco - in Gilly,<br />
Beethoven, Kleist, Hölderlin e Novalis, come pure in Runge e in Friedrich - la vicinanza<br />
alla morte è umana, è tragica. Nella sua dedizione al Tutto, divenuto ancor più inaccessibile,<br />
l'uomo afferma nell'arte la propria legge di fronte al caos ch'egli conosce fino<br />
in fondo.<br />
Ma ora, alla coscienza <strong>del</strong>la morte che in mille modi spia ogni essere vivente trasformandolo<br />
nella maschera <strong>del</strong>la morte stessa, in un fiore appassito, in una stanza<br />
vuota e perfino in una natura morta, rappresentati in tutto il loro orrore, si unisce il<br />
dubbio angoscioso sulla dignità e l'essenza <strong>del</strong>l'uomo, sia come dolorosa rinuncia sia<br />
anche come cinica deformazione. Questa vicinanza alla morte non è tragica, ma è infernale,<br />
e conferma il caos. Ed è tanto più terrificante in quanto ora non esiste più alcun<br />
settore <strong>del</strong>l'esistenza umana che si possa sottrarre a questa irruzione <strong>del</strong> mondo<br />
degli inferi. 142<br />
L'inferno era un tempo contenuto in una zona limitata di fronte al Tutto sensibile.<br />
Ma, come nel secolo 19° lo splendore <strong>del</strong> mondo ultraterreno si riversò tutto a guisa di<br />
luce naturale su ogni cosa terrena e trasfigurò, alla fine, anche un mucchio di fieno in<br />
uno splendore celeste e al tempo stesso passò perdendo il suo valore; così le visioni<br />
angosciose <strong>del</strong> limbo e di tutti i gironi infernali irrompono ora, all'insaputa dei loro esorcisti,<br />
nella realtà, compenetrandosi in essa. L'elemento notturno, pauroso, morbo-<br />
140 F. ROH, Nachexpressionismus, Lipsia 1925.<br />
141 L. CURTIUS, Antike Kunst, in "Handbuch der Kunstwissenschaft".<br />
142 H. SEDLMAYR, Säkularisation der Hölle, in "Der Tod des Lichtes", pp. 18 ss.<br />
6 aprile 2013