Perdita del centro - Università Gabriele d'Annunzio
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Seldmayr PERDITA DEL CENTRO 74<br />
so, molle, morto, putrefatto e sfigurato, il tormentato, dilaniato, ottuso, osceno, l'invertito,<br />
il meccanico, tutte queste sfumature, attributi e aspetti di ciò che non è umano,<br />
s'impadroniscono <strong>del</strong>l'uomo, <strong>del</strong> suo ambiente familiare, <strong>del</strong>la natura e di tutte le<br />
sue manifestazioni. Essi trasformano l'uomo in un rudere e in un automa, in un lemure<br />
e in una larva, in un cadavere e in uno spettro, in una cimice e in un insetto; essi lo dipingono<br />
brutale, cru<strong>del</strong>e, abbietto, osceno, mostruoso, meccanico. In diverse correnti<br />
<strong>del</strong>la pittura moderna compare l'una o l'altra combinazione di questi tratti antiumani,<br />
dove in sostanza dominano, nel cubismo la morte, nell'espressionismo il caos ardente,<br />
nel surrealismo la fredda demonìa <strong>del</strong> più profondo gelo infernale. Se le opere fossero<br />
perdute, i titoli dei quadri scelti apposta tradirebbero spesso la loro patria interiore:<br />
"Angoscia", "Città malata", "Città morente", "Moribundus", "Il mio ritratto scheletrico",<br />
"Peste sopra, peste sotto, peste ovunque", "Il motto di spirito ha vinto il dolore", "Il<br />
mucchio di spazzatura", "La bestia più orrenda", "Ritorno nel nulla".<br />
Quest'interpretazione apparirà fantastica a chi non ha avuto ancora modo di approfondire<br />
il problema. Considerata freddamente, essa ci offre tuttavia ciò che ci si può<br />
aspettare da una teoria; ci spiega cioè una quantità di fatti che finora si era cercato di<br />
capire separatamente; fa sì che possiamo considerare tutti questi "ismi" (sfuggenti alla<br />
realtà superiore dal futurismo fino al surrealismo, come espressioni - diverse solo in<br />
superficie - <strong>del</strong>le medesime forze generatrici (l'elemento umano è infatti in tutte le sue<br />
manifestazioni uno solo, mentre le sue negazioni sono molte); e lascia anche intravedere<br />
le sue differenze fin nei minimi particolari <strong>del</strong>la tecnica che, per la rappresentazione<br />
di queste irrealtà, ha sviluppato mezzi grandiosi. Tale interpretazione però dà<br />
anche ragione, nella maniera più diretta, <strong>del</strong>l'avversione <strong>del</strong>l'uomo "naturale" per questi<br />
quadri, avversione che ha un motivo profondo e non può consistere soltanto nell'odio<br />
<strong>del</strong>la persona incolta che difende la propria limitazione contro tutto ciò che è nuovo e<br />
straordinario.<br />
Se si considera la cosa da un punto di vista puramente estetico - esiste infatti anche<br />
un'autentica arte <strong>del</strong> terrificante e <strong>del</strong>l'infernale - questo pericolo <strong>del</strong>l'arte non può essere<br />
negato. Esso esiste come possibilità già agli inizi <strong>del</strong>l'arte nordica che ha creato<br />
sia l'immagine <strong>del</strong> Cristo sfigurato nella morte - immagine che era sconosciuta all'arte<br />
<strong>del</strong>l'oriente cristiano - sia anche l'immagine <strong>del</strong>l'inferno. Bosch, Brueghel, Grünewald<br />
hanno coltivato quest'arte <strong>del</strong> terrificante elevandola al medesimo livello <strong>del</strong>l'arte trasfiguratrice.<br />
Goya ne ha ampliato il campo senza però abbandonare mai quello <strong>del</strong>l'arte vera e<br />
propria. Sulla soglia <strong>del</strong>la nuova arte terrena <strong>del</strong>la morte e <strong>del</strong>l'inferno stanno alcuni<br />
artisti straordinari: Ensor, Munch, Kubin, Schiele. In questa direzione si possono comunque<br />
fare soltanto pochi passi oltre i quali si precipita fuori <strong>del</strong> regno <strong>del</strong>l'arte. Ci si<br />
può affacciare sull' "abisso", ma non lo si può valicare senza perdere nella caduta il<br />
senso <strong>del</strong>l'umano e <strong>del</strong>l'arte. Quando l'arte luciferina di opposizione riesce a mantenersi<br />
su una solida base, non manca certo di splendore. Il suo massimo trionfo consiste<br />
nel ricavare ordine e bellezza dalla dissoluzione dei corpi, <strong>del</strong>la natura e <strong>del</strong> mondo.<br />
E chi è uscito salvo da questa esperienza <strong>del</strong>l'abisso potrà riuscire a rendere l'immagine<br />
<strong>del</strong>l'Apocalisse, <strong>del</strong>l'inferno e <strong>del</strong> cielo: saprà creare un de profundis.<br />
Una grande parte <strong>del</strong>la nuova pittura però, e specialmente quella <strong>del</strong> decennio fra il<br />
1920 e il 1930, non è più vera arte, così come una grande parte <strong>del</strong>l'architettura moderna<br />
non è più architettura. Ma, al seguito di coloro che, spinti da un incontenibile<br />
impulso interiore, dovevano esprimere in immagini la nuova concezione notturna - e<br />
molti ne sono stati danneggiati anche come uomini - si aggiunge adesso, espressa in<br />
maniera finora mai vista, la congiuntura <strong>del</strong> terribile.<br />
Si nota la smania <strong>del</strong> nuovo a qualunque costo, il gioco cinico e superficiale e il bluff<br />
cosciente, la fredda utilizzazione di quest'arte quale mezzo per risolvere tutti gli ordini<br />
e, cento volte di più, la vertigine <strong>del</strong> guadagno e l'inganno degli autoingannati, la spudorata<br />
autorappresentazione di tutto ciò che è abbietto: si nota la "caricatura <strong>del</strong>l'Apocalisse".<br />
Solo raramente questo "infernalismo" è un programma esplicito; nella maggior parte<br />
dei casi è una forma che agisce inconsapevolmente. Anche quando si trovava al suo apice<br />
esteriore, questa pittura ha sentito la necessità di velarsi di una ideologia, senza la<br />
6 aprile 2013