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Perdita del centro - Università Gabriele d'Annunzio

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Seldmayr PERDITA DEL CENTRO 97<br />

guito Nietzsche vivrà soffrendo la sorte <strong>del</strong>l'uomo senza Dio: l'uno e l'altro, fino alla<br />

pazzia. 179<br />

Hölderlin sa che una mediazione fra l'uomo e Dio deve esistere:<br />

…<br />

Che non uno possente governa<br />

nell'alto dei cieli<br />

ma già troppo il mio cuore si avvinghia<br />

a quell'Unico solo<br />

che dai gorghi più fondi <strong>del</strong>l'anima,<br />

mi balzò questo canto;<br />

e la debita ammenda vo' farne, nei canti venturi,<br />

se sarà che verranno<br />

Non mi è dato raggiungere, ahimè, l'agognata Misura!<br />

Solo un Dio, quando scende tra gli uomini,<br />

la raggiunge perfetta. 180<br />

Ma al tempo stesso il Dio personale, che è anche "il Padre", è sottoposto all'idea <strong>del</strong><br />

divino - che è un concetto astratto - e "non sa tutto". Le singole figure umanamente<br />

divine (Cristo, Eracle, Dioniso) nelle quali Hölderlin adora, in un certo senso, la divinità,<br />

si dissolvono in un Tutto, preterdivino o primordialmente divino.<br />

Coll'andar <strong>del</strong> tempo ciò si mostrerà con maggiore evidenza, quando cioè Hölderlin<br />

si rivolgerà a considerare ciò che egli ritiene la cosa più santa: la natura. Egli rivolge la<br />

sua preghiera a quella che per lui è la più antica e la più sacra di tutte le figure "personali"<br />

degli dèi. La "grande sacralità" che Hölderlin vede nella natura non è ne' vicina<br />

all'uomo e neppure gli ispira fiducia; egli non può sentirsi in essa a proprio agio, ritrovarvi<br />

se stesso e considerare la natura come sua affine od amica. La "grande sacralità"<br />

non è invece nulla di tutto questo. Al contrario, essa è tutto ciò che è completamente<br />

diverso da tutto quanto esiste di umano, di organico, di artificioso... assolutamente diverso<br />

dal personale e dal fatale; è anzi tutto ciò che esiste di maggiormente opposto<br />

all'uomo: è il generico, l'aorgico, l'insensibile, l'infinito. Hölderlin ama definirlo, contrapponendolo<br />

alla inebriante attività <strong>del</strong>l'uomo, con la parola "silenzio". Per avvicinarsi<br />

ad esso, l'uomo deve annientarsi e andare verso la morte. 181 Spesso perciò i mortali<br />

sono attirati da<br />

Un prodigioso anelito<br />

verso gli abissi, abbandonata nave<br />

senza nocchiero. E non appena ascesa<br />

dalla terra natia, la bianca nube<br />

<strong>del</strong> giorno stesso le ritorna in grembo:<br />

disciolta in pianto dai purpurei spari.<br />

Ansia di morte anche i popoli coglie.<br />

Cadono le città madri di eroi<br />

e la terra verdeggia. E si prosterna<br />

muta alle stelle, giù, dentro la polvere<br />

come un'antica supplice,<br />

liberamente arresa alla bellezza<br />

di quegli inimitabili splendori<br />

la lunga affaticata arte degli uomini:<br />

che l'uomo stesso con le proprie mani,<br />

per onorar gli eterni, ecco, struggeva<br />

179 Cfr. per questo capitolo W. F. OTTO, Der griechische Göttermythos bei Goethe und Hölderlin, nel volume<br />

Geistige Überlieferung, edito da Ernesto Grassi, Berlino 1939.<br />

180 L'Unico, da: VINCENZO ERRANTE, La lirica di Hölderlin, I, Sansoni, 1943, p. 294.<br />

181 W. F. OTTO, cit.<br />

6 aprile 2013

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