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Le Vite - Fondazione Memofonte

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l’arebbono rovinato; onde Michelagnolo con balle di lana e gagliardi materassi sospesi con corde lo<br />

armò di maniera che gli è ancora in piedi. Dicono ancora che nel tempo dell’assedio gli nacque<br />

occasione, per la voglia che prima aveva d’un sasso di marmo di nove braccia venuto da Carrara,<br />

che, per gara e concorrenza fra loro, papa Clemente lo aveva dato a Baccio Bandinelli; ma per<br />

essere tal cosa nel publico, Michelagnolo la chiese al gonfaloniere, et esso glielo diede, che facesse<br />

il medesimo, avendo già Baccio fatto il modello e levato dimolta pietra per aboz[z]arlo. Onde fece<br />

Michelagnolo un modello, il quale fu tenuto maraviglioso e cosa molto vaga; ma nel ritorno de’<br />

Medici fu restituito a Baccio.<br />

Fatto lo accordo, Baccio Valori, comessario del Papa, ebbe comissione di far pigliare e mettere al<br />

Bargello certi cittadini de’ più parziali; e la corte medesima cercò di Michelagnolo a casa, il quale,<br />

dubitandone, s’era fuggito segretamente in casa d’un suo grande amico, ove stette molti giorni<br />

nascosto: tanto che, passato la furia, ricordandosi papa Clemente della virtù di Michelagnolo, fe’<br />

fare diligenza di trovarlo, con ordine che non se gli dicessi niente, anzi che se gli tor[II. 743]nassi le<br />

solite provisioni e che egli attendessi all’opera di S. Lorenzo, mettendovi per proveditore messer<br />

Giovambatista Figiovanni, antico servidore di casa Medici e priore di S. Lorenzo. Dove assicurato<br />

Michelagnolo cominciò, per farsi amico Baccio Valori, una figura di tre braccia di marmo, che era<br />

uno Apollo che si cavava del turcasso una freccia, e lo condusse presso al fine; il quale è oggi nella<br />

camera del Principe di Fiorenza, cosa rarissima, ancora che non sia finita del tutto. In questo tempo<br />

essendo mandato a Michelagnolo un gentiluomo del duca Alfonso di Ferrara, che aveva inteso che<br />

gli aveva fatto qualcosa rara di suo mano, per non perdere una gioia così fatta, arrivato che fu in<br />

Fiorenza e trovatolo, gli presentò lettere di credenza da quel signore. Dove Michelagnolo, fattogli<br />

accoglienze, gli mostrò la <strong>Le</strong>da dipinta da lui, che abraccia il Cigno, e Castore e Polluce che<br />

uscivano dell’uovo, in certo quadro grande dipinto a tempera col fiato; e pensando il mandato del<br />

Duca, al nome che sentiva fuori di Michelagnolo, che dovessi aver fatto qualche gran cosa, non<br />

conoscendo né l’artificio né l’ecc[ellenza] di quella figura, disse a Michelagnolo: “Oh, questa è una<br />

poca cosa”. Gli dimandò Michelagnolo che mestiero fussi il suo, sapendo egli che niuno meglio può<br />

dar giudizio delle cose che si fanno che coloro che vi sono essercitati pur assai drento. Rispose<br />

g[h]ignando: “Io son mercante”, credendo non essere stato conosciuto da Michelagnolo per<br />

gentiluomo, e quasi fattosi beffe d’una tal dimanda, mostrando ancora insieme sprezzare l’industria<br />

de’ Fiorentini. Michelagnolo, che aveva inteso benissimo el parlar così fatto, rispose alla prima:<br />

“Voi farete questa volta mala mercanzia per il vostro signore. <strong>Le</strong>vatevimi dinanzi”. E così in que’<br />

giorni Anton Mini suo creato, che aveva 2 sorelle da maritarsi, gliene chiese, et egli gliene donò<br />

volentieri con la maggior parte de’ disegni e cartoni fatti da lui, ch’erano cosa divina; così 2 casse di<br />

modegli con gran numero di cartoni finiti per far pitture, e parte d’opere fatte; che venutogli fantasia<br />

d’andarsene in Francia, gli portò seco, e la <strong>Le</strong>da la vendé al re Francesco per via di mercanti, oggi a<br />

Fontanableò; et i cartoni e ‘ disegni andaron male, perché egli si morì là in poco tempo, e gliene fu<br />

rubati: dove si privò questo paese di tante e sì utili fatiche, che fu danno inestimabile. A Fiorenza è<br />

ritornato poi il cartone della <strong>Le</strong>da, che l’ha Bernardo Vecchietti, e così 4 pezzi d’i cartoni della<br />

Cappella, di Ignudi e Profeti, condotti da Benvenuto Cellini scultore, oggi appresso agli eredi di<br />

Girolamo degli Albizi.<br />

Convenne a Michelagnolo andare a Roma a papa Clemente, il quale, benché adirato con lui, come<br />

amico della virtù gli perdonò ogni cosa e gli diede ordine che tornasse a Fiorenza e che la Libreria e<br />

Sagrestia di S. Lorenzo si finissero del tutto. E per abreviare tal opera, una infinità di statue che ci<br />

andavano compartirono in altri maestri: egli n’allogò 2 al Tribolo, una a Raffaello da Montelupo et<br />

una a fra’ Giovann’Agnolo frate de’ Servi, tutti scultori, e gli diede aiuto in esse facendo a ciascuno<br />

i modelli in bozze di terra. Laonde tutti gagliardamente lavorarono, et egli ancora alla Libreria<br />

faceva attendere; onde si finì il palco di quella d’intagli in legnami con suoi modelli, i quali furono<br />

fatti per le mani del Carota e del Tasso fiorentini, eccell[enti] intagliatori e maestri, et ancora di<br />

quadro; e similmente i banchi dei libri, lavorati allora da Batista del Cinque e Ciapino amico suo,<br />

buoni maestri in quella professione. E per darvi ultima fine fu condotto in Fiorenza Giovanni da

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