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Le Vite - Fondazione Memofonte

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ultimamente in una carta bellissima un Santo Eustachio che adora Cristo apparitogli fra le corna<br />

d’una cervia, e due cani appresso che non possono essere più belli, oltre un paese pieno d’alberi,<br />

che andando [II. 259] pian piano alontanandosi e diminuendo, è cosa rarissima. Questa carta è stata<br />

lodata sommamente da infiniti che l’hanno veduta, e particolarmente dal Danese da Carrara, che la<br />

vide trovandosi in Verona a metter in opera la capella de’ signori Fregosi, che è cosa rarissima fra<br />

quante ne sieno oggidì in Italia. Il Danese adunque, veduta questa carta, restò stupefatto per la sua<br />

bellezza, e persuase al sopradetto fra’ Marco de’ Medici, suo antico e singolare amico, che per cosa<br />

del mondo non se la lasciasse uscir di mano, per metterla fra l’altre sue cose rare che ha in tutte le<br />

professioni; per che avendo inteso Battista che il detto padre n’aveva disiderio, per la stessa<br />

amicizia la quale sapea che aveva con il suo suocero tenuta, gliele diede, e quasi lo sforzò, presente<br />

il Danese, ad accettarla: ma nondimeno gli fu di pari cortesia quel buon padre non ingrato. Ma<br />

perché il detto Battista e Marco suo figliuolo sono vivi e tuttavia vanno operando, non si dirà altro<br />

di loro al presente. Ebbe il Moro un altro discepolo chiamato Orlando Fiacco, il quale è riuscito<br />

buon maestro e molto pratico in far ritratti, come si vede in molti che n’ha fatti bellissimi e molto<br />

simili al naturale. Ritrasse il cardinal Caraffa nel suo ritorno di Germania, e lo rubò a lume di torchi<br />

mentre che nel Vescovado di Verona cenava; e fu tanto simile al vero che non si sarebbe potuto<br />

migliorare. Ritrasse anco, e molto vivamente, il cardinal Lorena quando venendo dal Concilio di<br />

Trento passò per Verona nel ritornarsi a Roma; e così li due vescovi Lippomani di Verona, Luigi il<br />

zio et Agostino il nipote, i quali ha ora in un suo camerino il conte Giovambatista della Torre.<br />

Ritrasse messer Adamo Fumani, canonico e gentiluomo literatissimo di Verona, messer Vincenzio<br />

de’ Medici da Verona e madonna Isotta sua consorte in figura di Santa Elena, e messer Niccolò lor<br />

nipote. Parimente ha ritratto il conte Antonio della Torre, il conte Girolamo Canossi, et il conte<br />

Lodovico et il conte Paulo suoi fratelli, e il signor Astor Baglioni capitano generale di tutta la<br />

cavalleria leggera di Vinezia e governatore di Verona, armato d’arme bianche e bellissimo, e la sua<br />

consorte, la signora Ginevra Salviati; similmente il Palladio, architetto rarissimo, e molti altri; e<br />

tuttavia va seguitando per farsi veramente un Orlando nell’arte della pittura come fu quel primo<br />

gran paladino di Francia.<br />

VITA DI FRANCESCO MONSIGNORI<br />

Pittore Veronese<br />

Essendosi sempre in Verona, dopo la morte di fra’ Iocondo, dato straordinariamente opera al<br />

disegno, vi sono d’ogni tempo fioriti uomini eccellenti nella pittura e nell’architettura, come, oltre<br />

quello che si è veduto adietro, si vedrà ora nelle <strong>Vite</strong> di Francesco Monsignori, di Domenico<br />

Moroni e Francesco suo figliuolo, di Paulo Cavazzuola, di Falconetto architettore, e ultimamente di<br />

Francesco e Girolamo miniatori. Francesco Monsignori adunque, figliuolo d’Alberto, nacque in<br />

Verona l’anno 1455, e cresciuto che fu, dal padre, il quale si era sempre dilettato della pittura, se<br />

bene non l’aveva esercitata se non per suo piacere, fu consigliato [II. 260] a dar opera al disegno.<br />

Per che andato a Mantoa a trovare il Mantegna, che allora in quella città lavorava, si affaticò di<br />

maniera, spinto dalla fama del suo precettore, che non passò molto che Francesco Secondo<br />

marchese di Mantoa, dilettandosi oltre modo della pittura, lo tirò appresso di sé, gli diede l’anno<br />

1487 una casa per suo abitare in Mantoa et assegnò provisione onorata. Dei quali benefizii non fu<br />

Francesco ingrato, perché servì sempre quel signore con somma fedeltà et amorevolezza; onde fu<br />

più l’un giorno che l’altro amato da lui e beneficato, intantoché non sapeva uscir della città il<br />

marchese senza avere Francesco dietro, e fu sentito dire una volta che Francesco gli era tanto grato<br />

quanto lo Stato proprio. Dipinse costui molte cose a quel signore nel palazzo di San Sebastiano in<br />

Mantoa, e fuori nel castel di Gonzaga e nel bellissimo palazzo di Marmirolo; et in questo avendo,

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