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Le Vite - Fondazione Memofonte

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dell’arte messer Niccolò Acciaiuoli dottore fiorentino, il quale di stucchi e d’altre moderne pitture<br />

adornò riccamente questa opera di Giotto. Di mano del quale ancora fu la nave di musaico ch’è<br />

sopra le tre porte del portico nel cortile di S. Piero, la quale è veramente miracolosa e meritamente<br />

lodata da tutti i belli ingegni, perché in essa, oltre al disegno, vi è la disposizione degl’Apostoli che<br />

in diverse maniere travagliano per la tempesta del mare mentre soffiano i venti in una vela, la quale<br />

ha tanto rilievo che non farebbe altr’e tanto una vera: e pure è difficile avere a fare di que’ pezzi di<br />

vetri una unione come quella che si vede ne’ bianchi e nell’ombre di sì gran vela, la quale col<br />

pennello, quando si facesse ogni sforzo, a fatica si pareggiarebbe; senzaché in un pescatore, il quale<br />

pesca in sur uno scoglio a lenza, si conosce nell’attitudine una pacienza estrema propria di<br />

quell’arte, e nel volto la speranza e la voglia di pigliare. Sotto questa opera sono tre archetti in<br />

fresco, de’ quali, essendo per la maggior parte guasti, non dirò altro. <strong>Le</strong> lodi, dunque, date<br />

universalmente dagl’artefici a questa opera se le convengono.<br />

Avendo poi Giotto nella Minerva, chiesa de’ Frati Predicatori, dipinto in una tavola un Crucifisso<br />

grande colorito a tempera che fu allora molto lodato, se ne tornò, essendone stato fuori sei anni, al[I.<br />

125]la patria. Ma essendo non molto dopo creato papa Clemente Quinto in Perugia, per esser morto<br />

papa Benedetto Nono, fu forzato Giotto andarsene con quel Papa là dove condusse la corte, in<br />

Avignone, per farvi alcune opere; per che andato, fece non solo in Avignone, ma in molti altri<br />

luoghi di Francia, molte tavole e pitture a fresco bellissime, le quali piacquero infinitamente al<br />

Pontifice et a tutta la corte. Laonde, spedito che fu, lo licenziò amorevolmente e con molti doni,<br />

onde se ne tornò a casa non meno ricco che onorato e famoso, e fra l’altre cose recò il ritratto di<br />

quel Papa, il quale diede poi a Taddeo Gaddi suo discepolo: e questa tornata di Giotto in Firenze fu<br />

l’anno 1316.<br />

Ma non però gli fu conceduto fermarsi molto in Firenze, perché condotto a Padoa per opera de’<br />

signori della Scala, dipinse nel Santo, chiesa stata fabricata in que’ tempi, una capella bellissima. Di<br />

lì andò a Verona, dove a messer Cane fece nel suo palazzo alcune pitture e particolarmente il ritratto<br />

di quel signore, e ne’ Frati di San Francesco una tavola. Compiute queste opere, nel tornarsene in<br />

Toscana gli fu forza fermarsi in Ferrara e dipignere in servigio di que’ signori Estensi, in palazzo et<br />

in Santo Agostino, alcune cose che ancor oggi vi si veggiono. Intanto venendo agl’orecchi di Dante<br />

poeta fiorentino che Giotto era in Ferrara, operò di maniera che lo condusse a Ravenna dove egli si<br />

stava in esilio, e gli fece fare in San Francesco per i signori da Polenta alcune storie in fresco<br />

intorno alla chiesa che sono ragionevoli. Andato poi da Ravenna a Urbino, ancor quivi lavorò<br />

alcune cose. Poi, occorrendogli passar per Arezzo, non potette non compiacere Piero Saccone che<br />

molto l’aveva carezzato, onde gli fece in un pilastro della capella maggiore del Vescovado, in<br />

fresco, un San Martino che, tagliatosi il mantello nel mezzo, ne dà una parte a un povero che gli è<br />

inanzi quasi tutto ignudo. Avendo poi fatto nella badia di Santa Fiore, in legno, un Crucifisso<br />

grande a tempera che è oggi nel mezzo di quella chiesa, se ne ritornò finalmente in Firenze, dove fra<br />

l’altre cose, che furono molte, fece nel monasterio delle Donne di Faenza alcune pitture et in fresco<br />

et a tempera, che oggi non sono in essere per esser rovinato quel monasterio. Similmente, l’anno<br />

1322, essendo l’anno innanzi con suo molto dispiacere morto Dante suo amicissimo, andò a Lucca<br />

et a richiesta di Castruccio, signore allora di quella città sua patria, fece una tavola in S. Martino,<br />

drentovi un Cristo in aria e quattro Santi protettori di quella città, cioè S. Piero, S. Regolo, S.<br />

Martino e S. Paulino, i quali mostrano di raccomandare un papa et un imperatore, i quali, secondo<br />

che per molti si crede, sono Federigo Bavaro e Nicola Quinto antipapa. Credono parimente alcuni<br />

che Giotto disegnasse a S. Fridiano, nella medesima città di Lucca, il Castello e Fortezza della<br />

Giusta, che è inespugnabile.<br />

Dopo, essendo Giotto ritornato in Firenze, Ruberto re di Napoli scrisse a Carlo duca di Calavria suo<br />

primogenito, il quale se trovava in Firenze, che per ogni modo gli mandasse Giotto a Napoli, perciò<br />

che, avendo finito di fabricare S. Chiara, monasterio di donne e chiesa reale, voleva che da lui fusse<br />

di nobile pittura adornata. Giotto adunque, sentendosi da un re tanto lodato e famoso chiamare,<br />

andò più che volentieri a servirlo, e giunto dipinse in alcune capelle del detto monasterio molte<br />

storie del Vecchio Testamento e Nuovo. E le storie de l’Apocalisse ch’e’ fece in una di dette capelle<br />

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