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Le Vite - Fondazione Memofonte

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portoni, entrate, e case e palazzi dove e’ villeggiono, che non solo recano bellezza et ornamento<br />

infinito a quel contado, ma utilità e commodo grandissimo ai cittadini. Ma molto più è dotata la<br />

città di fabriche stupendissime fatte di bozze, come quella di casa Medici, la facciata del palaz[z]o<br />

de’ Pitti, quello degli Strozzi et altri infiniti. Questa sorte di edificii tanto quanto più sodi e semplici<br />

si fanno e con buon disegno, tanto più maestria e bellezza vi si conosce dentro; [I. 22] et è<br />

necessario che questa sorte di fabrica sia più eterna e durabile di tutte l’altre, avvengaché sono i<br />

pezzi delle pietre maggiori, e molto migliori le commettiture dove si va collegando tutta la fabrica<br />

con una pietra che lega l’altra pietra. E perché elle son pulite e sode di membri, non hanno possanza<br />

i casi di fortuna o del tempo nuocergli tanto rigidamente quanto fanno alle altre pietre intagliate e<br />

traforate o, come dicono i nostri, campate in aria dalla diligenza degli intagliatori.<br />

L’ordine dorico fu il più massiccio ch’avesser i Greci e più robusto di fortezza e di corpo, e molto<br />

più degl’altri loro ordini collegato insieme; e non solo i Greci ma i Romani ancora dedicarono<br />

questa sorte di edificii a quelle persone che erano armigeri, come imperatori d’eserciti, consoli e<br />

pretori, ma agli Dei loro molto maggiormente, come a Giove, Marte, Ercole et altri, avendo sempre<br />

avvertenza di distinguere, secondo il lor genere, la differenza della fabrica o pulita o intagliata o più<br />

semplice o più ricca, acciò che si potesse conoscere dagli altri il grado e la differenza fra<br />

gl’imperatori o di chi faceva fabricare. E per ciò si vede all’opere che feciono gl’antichi essere stata<br />

usata molta arte ne’ componimenti delle loro fabriche, e che le modanature delle cornici doriche<br />

hanno molta grazia e ne’ membri unione e bellezza grandissima. E vedesi ancora che la proporzione<br />

ne’ fusi delle colonne di questa ragione è molto ben intesa, come quelle che non essendo né grosse<br />

grosse né sottili sottili hanno forma somigliante, come si dice, alla persona d’Ercole, mostrando una<br />

certa sodezza molto atta a regger il peso degli architravi, fregi, cornici e il rimanente di tutto<br />

l’edificio che va sopra.<br />

E perché questo ordine, come più sicuro e più fermo degl’altri, è sempre piacciuto molto al signor<br />

duca Cosimo, egli ha voluto che la fabrica che mi fa far con grandissimo ornamento di pietra per<br />

tredici magistrati civili della sua città e dominio, a canto al suo Palazzo insino al fiume d’Arno, sia<br />

di forma dorica. Onde, per ritornare in uso il vero modo di fabricare, il quale vuole che gl’architravi<br />

spianino sopra le colonne levando via la falsità de girare gl’archi delle logge sopra i capitelli, nella<br />

facciata dinanzi ho seguitato il vero modo che usarono gl’antichi, come in questa fabrica si vede. E<br />

perché questo modo di fare è stato dagl’architetti passati fuggito, perciò che gl’architravi di pietra<br />

che d’ogni sorte si trovano antichi e moderni si veggono tutti o la maggior parte essere rotti nel<br />

mezzo, nonostante che sopra il sodo delle colonne, dell’architrave, fregio e cornice siano archi di<br />

mattoni piani che non toccano e non aggravano, io, dopo molto avere considerato il tutto, ho<br />

finalmente trovato un modo bonissimo di mettere in uso il vero modo di far con sicurezza<br />

degl’architravi detti che non patiscono in alcuna parte, e rimane il tutto saldo e sicuro quanto più<br />

non si può desiderare, sì come la sperienza ne dimostra. Il modo dunque è questo che qui di sotto si<br />

dirà, a beneficio del mondo e degl’artefici.<br />

Messe su le colonne e sopra i capitelli gl’architravi che si stringono nel mezzo del diritto della<br />

colonna l’un l’altro, si fa un dado quadro: essempigrazia, se la colonna è un braccio grossa e<br />

l’architrave similmente largo et alto, facciasi simile il dado del fregio, ma dinanzi gli resti nella<br />

faccia un ottavo per la commettitura del piombo, e un altro ottavo o più sia intaccato di dentro il<br />

dado a quartabuono da ogni banda. Partito poi nell’intercolonnio il fregio in tre parti, le due dalle<br />

bande si aùgnino [I. 23] a quartabuono in contrario, che ricresca di dentro, acciò si stringa nel dado<br />

e serri a guisa d’arco; e dinanzi la grossezza dell’ottavo vada a piombo, et il simile faccia l’altra<br />

parte di là all’altro dado; e così si faccia sopra la colonna, che il pezzo del mezzo di detto fregio<br />

stringa di dentro, e sia intaccato a quartabuono insino a mezzo; l’altra mezza sia squadrata e diritta e<br />

messa a cassetta, perché stringa a uso d’arco, mostrando di fuori essere murata diritta. Facciasi poi<br />

che le pietre di detto fregio non posino sopra l’architrave e non s’accostino un dito, perciò che<br />

facendo arco, viene a reggersi da sé e non caricar l’architrave. Facciasi poi dalla parte di dentro, per<br />

ripieno di detto fregio, un arco piano di mattoni alto quanto il fregio, che stringa fra dado e dado<br />

sopra le colonne. Facciasi dipoi un pezzo di cornicione largo quanto il dado sopra le colonne, il<br />

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