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Le Vite - Fondazione Memofonte

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massimamente che noi troviamo che queste figure di terra in quei primi secoli furono in molto<br />

onore, et a Roma massimamente quando i cittadini vi erano rozzi et il comune povero, dove ebbero<br />

molte imagini di quelli Dei che essi adoravano di terracotta, e ne’ sacrificii appresso di loro furono<br />

in uso i vasi di terra. E molto più si crede che piacesse alli Dei la semplicità e povertà di quei secoli<br />

che l’oro e l’argento e la pompa di coloro li quali poi vennero. Il primo che si dice aver ritratto di<br />

terra fu Dibutade Sicionio che faceva le pentole in Corinto, e ciò per opera d’una sua figliuola, la<br />

quale, essendo innamorata d’un giovane che da lei si deveva partire, si dice che a lume di lucerna<br />

con alcune linee aveva dipinta l’ombra della faccia di colui cui ella amava, drento alla quale poi il<br />

padre, essendoli piaciuto il fatto et il disegno della figliuola, di terra ne ritrasse l’imagine<br />

rilevandola alquanto dal muro; e questa figura poi asciutta, con altri suoi lavori mise nella fornace.<br />

E dicono che la fu consecrata al tempio delle Ninfe e che ella durò poi insino al tempo che Mummio<br />

consolo romano disfece Corinto. Altri dicono che in Samo isola fu primieramente trovata questa<br />

arte da uno Ideoco Reto et uno Teodoro molto innanzi a questo detto di sopra, et inoltre che<br />

Demarato padre di Tarquinio Prisco, fuggendosi da Corinto sua patria, aveva portato seco in Italia<br />

arte cotale conducendo in sua compagnia Eucirapo et Eutigrammo maestri di far terra, e che da<br />

costoro cotale arte si sparse poi per l’Italia et in Toscana fiorì molto e molto tempo.<br />

Il primo poi che ritraesse le imagini degli uomini col gesso stemperato e del cavo poi facesse le<br />

figure di cera riformandole meglio, si dice essere stato Lisistrato Sicionio fratello di Lisippo. E<br />

questi fu il primo che ritraesse dal vivo, essendosi sforzati innanzi a lui gli altri maestri di far le<br />

statue loro più belle che essi potessero. E fu questo modo di formare di terra tanto comune che<br />

niuno, per buon maestro che ei fusse, si mise a fare statue di bronzo, fondendolo, o di marmo o di<br />

altra nobile materia, levandone, che prima non ne facesse di terra i modelli. Onde si può credere che<br />

questa arte, come più semplice e molto utile, fusse molto prima che quella la quale cominciò in<br />

bronzo a ritrarre.<br />

Furono in questa maniera di figure di terracotta molto lodati Dimofilo e Gorgaso i quali parimente<br />

furono dipintori, et a Roma dell’una e dell’altra loro arte adornarono il tempio di Cerere,<br />

lasciandovi versi scritti significanti che la destra parte del tempio era opera di Dimofilo e la sinistra<br />

di Gorgaso. E Marco Varrone scrive che, innanzi a costoro, tutte opere cotali che ne’ templi a Roma<br />

si vedevano erano state fatte da’ Toscani e che, quando si rifece il tempio di Cerere, molte di quelle<br />

imagini greche erano state del muro da alcuni levate, i quali, rinchiudendole drento a tavolette<br />

d’asse, le portarono via. Calcostene fece anco in Atene molte imagini di terra, e da la sua bottega<br />

quel luogo - che in Atene fu poi cotanto celebrato e dove furono poste tante statue - e da cotale arte<br />

fu chiamato Ceramico. Il medesimo [II. XXIII] Marco Varrone lasciò scritto che a suo tempo in<br />

Roma fu un buon maestro di cotale arte, il quale egli molto bene conosceva et era chiamato<br />

Possonio, il quale oltre a molte opere egregie ritrasse di terra alcuni pesci sì begli e sì somiglianti<br />

che non gli aresti saputo discernere da’ veri e dai vivi. Loda il medesimo Varrone molto uno amico<br />

di Lucullo, i modegli del quale si solevano vendere più cari che alcun’altra opera di qualunche<br />

artefice, e che di mano di costui fu quella bella Venere che si chiamò Genitrice, la quale innanzi che<br />

fusse interamente compiuta, avendone fretta Cesare, fu dedicata e consacrata nel Foro. Di mano di<br />

questo medesimo un modello di gesso d’un vaso grande da vino, che voleva far lavorare Ottavio<br />

cavalier romano, si vendé un talento. Loda molto Varrone il detto di Prassitele, il quale disse che<br />

questa arte di far di terra era madre di ogni altra che in marmo o in bronzo facci figure di rilievo o in<br />

quale altra si vogli materia, e che quel nobile maestro non si mise mai a fare opera alcuna cotale che<br />

prima di terra non ne facesse il modello. Dice il medesimo autore che questa arte fu molto onorata<br />

in Italia e spezialmente in Toscana. Onde Tarquinio Prisco re de’ Romani chiamò un Turiano<br />

maestro molto celebrato a cui egli dètte a fare quel Giove di terracotta che si deveva adorare e<br />

consacrare nel Campidoglio, e similmente i quattro cavalli aggiogati i quali si vedevano sopra il<br />

tempio; e si credeva ancora che del medesimo maestro fusse opera quello Ercole che lungo tempo si<br />

vidde a Roma e, dalla materia di che egli era, fu chiamato “l’Ercole di terracotta”.<br />

Ma perciò che questa arte, comeché da per sé la sia molto nobile et origine delle più onorate,<br />

tuttavia - però che la materia in che ella lavora è vile e l’opere d’essa possono agevolmente ricever<br />

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