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Le Vite - Fondazione Memofonte

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nazione spagnuola fatta fare il cardinale Alborense una cappella adorna di molti marmi, e da Iacopo<br />

Sansovino un San Iacopo di marmo alto quattro braccia e mezzo e molto lodato, Pellegrino vi<br />

dipinse in fresco le storie della vita di quello Apostolo, facendo alle figure gentilissima aria a<br />

immitazione di Raffaello suo maestro, et avendo tanto bene accommodato tutto il componimento,<br />

che quell’opera fece conoscere Pellegrino per uomo desto e di bello e buono ingegno nella pittura.<br />

Finito questo lavoro, ne fece molti altri in Roma e da per sé et in compagnia. Ma venuto finalmente<br />

[II. 148] a morte Raffaello, egli se ne tornò a Modana, dove fece molte opere; et in fra l’altre per<br />

una Confraternita di Battuti fece in una tavola a olio San Giovanni che battezza Cristo; e nella<br />

chiesa de’ Servi, in un’altra tavola, San Cosmo e Damiano con altre figure. Dopo, avendo preso<br />

moglie, ebbe un figliuolo che fu cagione della sua morte; perché venuto a parole con alcuni suoi<br />

compagni, giovani modanesi, n’amazzò uno; di che portata la nuova a Pellegrino, egli per<br />

soccorrere al figliuolo, acciò non andasse in mano della giustizia, si mise in via per trafugarlo: ma<br />

non essendo ancora molto lontano da casa, lo scontrarono i parenti del giovane morto, i quali<br />

andavano cercando l’omicida; costoro dunque, affrontando Pellegrino, che non ebbe tempo a<br />

fuggire, tutti infuriati poiché non avevano potuto giugnere il figliuolo, gli diedero tante ferite che lo<br />

lasciarono in terra morto. Dolse molto ai Modanesi questo caso, conoscendo essi che per la morte di<br />

Pellegrino restavano privi d’uno spirito veramente peregrino e raro.<br />

Fu coetaneo di costui Gaudenzio Milanese, pittore eccellente, pratico et espedito, il quale in fresco<br />

fece in Milano molte opere, e particularmente ai frati della Passione un Cenacolo bellissimo, che<br />

per la morte sua rimase imperfetto. Lavorò anco a olio eccellentemente, e di sua mano sono assai<br />

opere a Vercelli et a Veralla, molto stimate.<br />

VITA D’ANDREA DEL SARTO<br />

Eccellentissimo Pittore Fiorentino<br />

[II. 149] Eccoci, dopo le <strong>Vite</strong> di molti artefici stati eccellenti chi per colorito, chi per disegno e chi<br />

per invenzione, pervenuti all’eccellentissimo Andrea del Sarto, nel quale uno mostrarono la natura e<br />

l’arte tutto quello che può far la pittura mediante il disegno, il colorire e l’invenzione; in tanto che,<br />

se fusse stato Andrea d’animo alquanto più fiero e ardito, sì come era d’ingegno e giudizio<br />

profondissimo in questa arte, sarebbe stato senza dubitazione alcuna senza pari. Ma una certa<br />

timidità d’animo et una sua certa natura dimessa e semplice, non lasciò mai vedere in lui un certo<br />

vivace ardore né quella fierezza che, aggiunta all’altre sue parti, l’arebbe fatto essere nella pittura<br />

veramente [II. 150] divino; perciò che egli mancò per questa cagione di quegli ornamenti,<br />

grandezza e copiosità di maniere che in molti altri pittori si sono vedute. Sono nondimeno le sue<br />

figure, se bene semplici e pure, bene intese, senza errori, e in tutti i conti di somma perfezzione.<br />

L’aria delle teste, così di putti come di femmine, sono naturali e graziose, e quelle de’ giovani e de’<br />

vecchi con vivacità e prontezza mirabile; i panni begli a maraviglia, e gl’ignudi molto bene intesi: e<br />

se bene disegnò semplicemente, sono nondimeno i colori suoi rari e veramente divini.<br />

Nacque Andrea l’anno 1478 in Fiorenza di padre che esercitò sempre l’arte del sarto, onde egli fu<br />

sempre così chiamato da ognuno. E pervenuto all’età di sette anni, levato dalla scuola di leggere e<br />

scrivere, fu messo all’arte dell’orefice, nella quale molto più volentieri si esercitò sempre - a ciò<br />

spinto da naturale inclinazzione - in disegnare, che in maneggiando ferri per lavorare d’argento e<br />

d’oro. Onde avvenne che Gian Barile pittore fiorentino, ma grosso e plebeo, veduto il buon modo di<br />

disegnare del fanciullo, se lo tirò appresso, e fattogli abbandonare l’orefice, lo condusse all’arte<br />

della pittura. Nella quale cominciandosi ad esercitare Andrea con suo molto piacere, conobbe che la<br />

natura per quello esercizio l’aveva creato; onde cominciò in assai picciolo spazio di tempo a far<br />

cose con i colori, che Gian Barile e gl’altri artefici della città ne restavano maravigliati. Ma avendo

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