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Le Vite - Fondazione Memofonte

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mastio dalla femmina; e similmente Eumaro d’Atene, il quale s’ingegnò di ritrarre ogni figura, e<br />

quello che dopo lui venendo le cose da lui trovate molto meglio trattò, Cimone Cleoneo, il quale<br />

prima dipinse le figure in iscorcio et i volti altri in giù, altri in su et altri altrove guardanti, e le<br />

membra partitamente con i suoi nodi distinse, che primo mostrò le vene ne’ corpi e ne’ vestimenti le<br />

crespe. Paneo ancora, fratello di quel Fidia nobile statuario, fece di assai bella arte la battaglia degli<br />

Ateniesi con i Persi a Maratona, che già era a tale venuta l’arte che nell’opera di costui si viddero<br />

primieramente ritratti i capitani nelle loro figure stesse: Milciade ateniese, Callimaco e Cinegiro, e<br />

de’ barbari Dario e Tissaferne.<br />

Drieto al quale alquanti vennero i quali questa arte fecero migliore, dei quali non si ha certa notizia;<br />

intra i quali fu Polignoto da Taso, il primo che dipinse le donne con vesti lucenti e di begli colori, et<br />

i capi di quelle con ornamenti varii e di nuove maniere adornò- e ciò fu intorno agli anni 330 dopo<br />

Roma edificata. Per costui fu la pittura molto inalzata. Egli primo nelle figure umane mostrò aprir la<br />

bocca, scoprire i denti, et i volti da quella antica rozzezza fece parere più arrendevoli e più vivi.<br />

Rimase di lui fra le altre una tavola che si vide in Roma assai tempo nella loggia di Pompeo, nella<br />

quale era una bella figura armata con lo scudo, la quale non bene si conosceva se scendeva o saliva.<br />

Egli medesimo a Delfo dipinse quel tempio nobilissimo, egli in Atene la loggia che dalla varietà<br />

delle dipinture che drento vi erano fu chiamata la Varia, e l’uno e l’altro di questi lavori fece in<br />

dono; la qual liberalità molto gli accrebbe la riputazione e la grazia appresso a tutti i popoli della<br />

Grecia, talmente che li Anfizzioni - che era un consiglio comune di gran parte della Grecia che a<br />

certi tempi per trattare delle bisogne publiche a Delfo si ragunava - gli stanziarono che dovunche<br />

egli andasse per la Grecia fosse graziosamente ricevuto e fattoli publicamente le spese.<br />

A questo tempo medesimo furono due altri pittori d’un medesimo nome, de’ quali Micone il Minore<br />

si dice essere stato padre di Timarete, il quale esercito la medesima arte della pittura. A questo<br />

tempo stesso o poco più oltre furono Aglaofone, Cefisodoro, Frilo et Evenore padre di Parrasio, di<br />

cui si parlerà a suo luogo. E furono costoro assai chiari, ma non tanto però che essi meritino che per<br />

loro virtù o per loro opere si metta molto tempo, studiandoci massimamente d’andare alla<br />

eccellenza dell’arte, alla quale arrecò poi gran chiarezza Apollodoro ateniese intorno a l’anno 345<br />

da Roma edificata, il quale primo cominciò a dar fuori figure bellissime et arrecò a quest’arte gloria<br />

grandissima; di cui molti secoli poi si vedeva in Asia a Pergamo una tavola entrovi un sacerdote<br />

adorante, et in un’altra uno Aiace percosso dalla saetta di Giove, di tanto eccessiva bellezza che si<br />

dice inanzi a questa non si esser veduta opera di questa arte la quale allettasse gli occhi de’<br />

riguardanti.<br />

Per la porta da costui primieramente aperta entrò [II. VII] Zeusi di Eraclea dodici o tredici anni<br />

poscia, il quale condusse il pennello ad altissima gloria e di cui Apollodoro, quello stesso poco<br />

innanzi da noi raccontato, scrisse in versi l’arte sua toltagli portarne seco Zeusi. Fece costui con<br />

questa arte ricchezza infinita, tale che, venendo egli alcuna volta ad Olimpia là dove ogni cinque<br />

anni concorreva quasi tutta la Grecia a vedere i giuochi e gli spettacoli publici, per pompa a lettere<br />

d’oro nel mantello portava scritto il nome suo, acciò da ciascuno potesse essere conosciuto. Stimò<br />

egli cotanto l’opere sue che, giudicando non si dover trovare pregio pari a quelle, si mise nell’animo<br />

non di venderle, ma di donarle; e così donò una Atalanta al comune di Gergento, Pane dio de’<br />

pastori ad Archelao re. Dipinse una Penelope nella quale, oltre alla forma bellissima, si<br />

conoscevano ancora la pudicizia, la pazienza et altri bei costumi che in onesta donna si ricercano.<br />

Dipinse un campione, di quelli che i Greci chiamano atleti, e di questa sua figura cotanto si satisfece<br />

che egli stesso vi scrisse sotto quel celebrato motto: “Troverassi chi lo invidi, sì, ma chi il<br />

rassembri, no”. Videsi di lui un Giove nel suo trono sedente con grandissima maestà con tutti li Dei<br />

intorno, uno Ercole nella zana che con ciascuna delle mani strangolava un serpente, presente<br />

Amfitrione et Almena madre, nella quale si scorgeva la paura stessa. Parve nondimeno che questo<br />

artefice facesse i capi delle sue figure un poco grandetti. Fu con tutto ciò accurato molto, tanto che<br />

dovendo fare a nome de’ Crotoniati una bella figura di femmina, dov’e’ pareva che egli molto<br />

valesse, la quale si deveva consacrare al tempio di Giunone che egli aveva adornato di molte altre<br />

nobili dipinture, chiese di avere commodità di vedere alcune delle loro più belle e meglio formate<br />

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