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Le Vite - Fondazione Memofonte

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l’Anno, col capo tutto di ghiacci e di nevi coperto e con le braccia fiorite et inghirlandate, e col<br />

petto e col ventre tutto di spighe adorno, sì come le coscie e le gambe parevano anch’esse tutte<br />

essere di mosto bagnate e tinte, portando similmente nell’una mano, per dimostrazione del suo<br />

rigirante corso, un rigirante serpente che con la bocca pareva che la coda divorar si volesse, e<br />

nell’altra un chiodo, con che gl’antichi Romani si legge che tener ne’ tempii solevano degl’anni<br />

memoria. Veniva la rosseggiante Aurora poi, tutta vaga e leggiadra e snella, con un giallo<br />

mantelletto e con una antica lucerna in mano, sedente con bellissima grazia sul Pegaseo cavallo; in<br />

cui compagnia si vedeva in abito sacerdotale, e con un nodoso bastone et un rubicondo serpente in<br />

mano e con un cane a’ piedi, il medico Esculapio, e con loro il giovane Fetonte, del Sole (sì come<br />

Esculapio) figliuolo anch’egli, che tutto ardente, rinovando la memoria del suo infelice caso, pareva<br />

che nel cigno, che in mano aveva, trasformar si volesse. Orfeo poi, di questi fratello, giovane et<br />

adorno, ma di presenzia grave e venerabile, con la tiara in testa, sembrando di sonare un’ornatissima<br />

lira, si vedeva dietro a loro camminare; e si vedeva con lui l’incantatrice Circe, del Sole figliuola<br />

anch’ella, con la testa bendata, che tale era la reale insegna, e con matronale abito, la quale in vece<br />

di scettro pareva che tenesse in mano un rami[II. 958]cello di larice et un di cedro, co’ cui fumi si<br />

dice che gran parte degl’incantamenti suoi fabbricar soleva. Ma le nove Muse, con grazioso ordine<br />

camminando, con bellissimo finimento chiudevan l’ultima parte del descritto leggiadro drappello; le<br />

quali sotto forma di leggiadrissime Ninfe, di piume di gaz[z]a, per ricordanza delle vinte Sirene, e<br />

di altre sorti di penne incoronate, con diversi musicali instrumenti in mano si vedevan figurate;<br />

avendo in mez[z]o all’ultime, che il più degno luogo tenevano, messo di neri e ricchi drappi adorna<br />

la Memoria, delle Muse madre, tenente un nero cagnuolo in mano, per la memoria che in questo<br />

animale si dice esser mirabile, e con l’acconciatura di testa stravagantemente di variatissime cose<br />

composta, denotando le tante e sì variate cose che la memoria è abile a ritenere.<br />

CARRO QUINTO DI GIOVE<br />

Il gran padre poi degl’uomini e degli Dii Giove, di Saturno figliuolo, ebbe il quinto sopra tutti<br />

gl’altri ornatissimo e pomposissimo carro; perciò che oltre alle cinque favole, che come negl’altri<br />

dipinte vi si vedevano, ricco oltre a modo e meraviglioso era reso da tre statue che pomposissimo<br />

spartimento alle prescritte favole facevano: dall’una delle quali si vedeva rappresentare l’effigie che<br />

si crede essere stata del giovane Epafo, di Io e di Giove nato, e dall’altra quella della vaga Elena,<br />

che da <strong>Le</strong>da ad un parto fu con Castore e Polluce prodotta; sì come dall’ultima si rappresentava<br />

quella dell’avo del saggio Ulisse, Arcesio chiamato.<br />

Ma per la prima delle favole predette si vedeva Giove convertito in toro trasportare la semplicetta<br />

Europa in Creta; sì come per la seconda si vedeva con perigliosa rapina sotto forma d’aquila<br />

volarsene col troiano Ganimede in cielo; e come per la terza, volendo con la bella Egina, di Asopo<br />

figliuola, giacersi, si vedeva l’altra sua trasformazione fatta in fuoco; veggendosi per la quarta il<br />

medesimo Giove converso in pioggia d’oro discendere nel grembo dell’amata Danae; e nella quinta<br />

ed ultima veggendosi liberare il padre Saturno, che da’ Titani prigione era (come di sopra si disse)<br />

indegnamente tenuto. In tale e così fatto carro poi e sopra una bellissima sede di diversi animali e di<br />

molte aurate Vittorie composta, con un mantelletto di diversi animali ed erbe contesto, si vedeva il<br />

predetto gran padre Giove con infinita maestà sedere, inghirlandato di frondi simili a quelle della<br />

comune oliva, e con una Vettoria nella destra mano, da una fascia di bianca lana incoronata e con<br />

un reale scettro nella sinistra, in cima a cui l’imperiale aquila pareva che posata si fusse. Ma ne’<br />

piedi della sede (per più maestevole e pomposa renderla) si vedeva da una parte Niobe con i<br />

figliuoli morire per le saette d’Apollo e di Diana, e dall’altra sett’uomini combattenti, che in<br />

mez[z]o a sé d’aver sembravano un putto con la testa di bianca lana fasciata, sì come dall’altro si<br />

vedeva Ercole e Teseo, che con le famose Amaz[z]oni di combattere mostravano. Ma a piè del

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