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Le Vite - Fondazione Memofonte

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viso, onde questi artefici, per beffarlo, con l’arte loro lo ritrassero e per far ridere il popolo lo<br />

misero in publico; di che egli sdegnandosi, che stizzosissimo era, con i suoi versi, i quali erano<br />

molto velenosi, gli trafisse nel vivo et in maniera gli abominò ch’e’ si disse che alcuni di loro per<br />

dolore della ricevuta ingiuria se stessi impiccarono. Il che non fu vero, perciò che poi per l’isole<br />

vicine fecero molte figure, et in Delo massimamente, sotto le quali scolpirono versi che dicevano<br />

che Delo fra l’isole della Grecia era in buon nome non solo per la ecc[e]llenza del vino, ma ancora<br />

per le opere dei figliuoli di Antermo scultori. Mostravano i Lasii una Diana fatta di mano di costoro,<br />

et in Chio isola si diceva esserne un’altra posta in luogo molto rilevato di un tempio, la faccia della<br />

quale a coloro che entravano nel tempio pareva severa et adirata, et a coloro che ne uscivano placata<br />

e piacevole. A Roma erano di mano di questi artefici nel tempio di Apollo Palatino alcune figure<br />

postevi e consagratevi da Agusto in luogo più alto e più raguardevole. Vedevonsene ancora in Delo<br />

molte altre et in <strong>Le</strong>bedo, e delle opere del padre loro Ambracia, Argo e Cleone, città nobili, furono<br />

molto adorne. Lavorarono solamente in marmo bianco che si cavava nelle isole di Paro, il quale,<br />

come anco scrisse Varrone, però che delle cave a lume di lucerna si traeva, fu chiamato marmo di<br />

lucerna. Ma furono poi trovati altri marmi molto più bianchi, ma forse non così fini, come è anco<br />

quel di Carrara. Avenne in quelle cave, come si dice, cosa che apena par da credere, che, fendendosi<br />

con essi i conî un masso di questo marmo, si scoperse nel mezzo una imagine d’una testa di Sileno.<br />

Come ella vi fusse entro non si sa così bene e si crede che ciò a caso avenisse.<br />

Dicono che quel Fidia di cui di sopra abbiamo detto che sì bene aveva lavorato in metallo e fatto<br />

d’avorio alcune nobilissime statue, fu anco buon maestro di ritrarre in marmo e che di sua mano fu<br />

quella bella Venere che si vedeva a Roma nella loggia di Ottavia; e che egli fu maestro di Alcmane<br />

ateniese, in questa arte molto pregiato, delle opere di cui molte gli Ateniesi ne’ loro tempî<br />

consacrarono e, fra le altre, quella bellissima Venere la quale per essere stata posta fuor delle mura<br />

fu chiamata la Fuor-di-città, alla quale si diceva che Fidia aveva dato la perfezzione e, come è in<br />

proverbio, avervi posto l’ultima mano. Fu discepolo del [II. XXXIII] medesimo Fidia anco<br />

Agoraclito da Paro, a lui per il fiore della età molto caro, onde molti credettero che Fidia a questo<br />

giovane donasse molte delle sue opere. Lavorarono questi duoi discepoli di Fidia a pruova ciascuno<br />

una Venere, e fu giudicato vincitore l’ateniese non già per la bellezza della opera, ma perciò che i<br />

cittadini ateniesi che ne devevano esser giudici più favorarono l’artefice lor cittadino che il<br />

forestiero; di che sdegnato Agoracrito vendé quella sua figura con patto che mai la non si dovesse<br />

portare in Atene, e la chiamò lo Sdegno; la quale fu poi posta pur nella terra Attica in un borgo che<br />

si chiamava Rannunte, la qual figura Marco Varrone usava dire che gli pareva che di bellezza<br />

avanzasse ogn’altra. Erano ancora di mano di questo medesimo Agoracrito nel tempio della Madre<br />

degli Dei, pure in Atene, alcune altre opere molto eccellenti. Ma che quel Fidia maestro di questi<br />

due fusse di tutti gli artefici cotali eccellentissimo, niuno fu, che io creda, che ne dubitasse giamai,<br />

né solo per quelle nobilissime figure grande di Giove d’avorio né per quella Minerva d’Atene pur<br />

d’avorio e d’oro, di 26 cubiti d’altezza, ma non meno per le picciole e per le minime, delle quali in<br />

quella Minerva n’era un numero infinito, le quali non si debbono lasciare che le non si contino.<br />

Dicono adunche che nello scudo della Dea e nella parte che rilèva era scolpita la battaglia che già<br />

anticamente fecero gli Ateniesi con le Amazzone, e nel cavo di drento i Giganti che combattevano<br />

con li Dei, e nelle pianelle il conflitto de’ Centauri e de’ Lapiti, e ciò con tanta maestria e<br />

sottigliezza che non vi rimaneva parte alcuna che non fusse maravigliosamente lavorata. Nella base<br />

erano ritratti XII Dei ch’e’ pareva che conoscessero la vittoria, di bellezza eccessiva. Similmente<br />

faceva maraviglia il drago ritratto nello scudo e sotto l’asta una sfinge di bronzo. Abbiamo voluto<br />

aggiugnere anco questo di quel nobile artefice non mai abastanza lodato, acciò si sappi l’eccellenza<br />

di lui non solo nelle grandi opere, ma nelle minori ancora e nelle minime et in ogni sorta di rilèvo<br />

essere stata singolare.<br />

Fu dipoi Prassitele, il quale nelle figure di marmo, comeché egli fusse anco eccellente nel metallo,<br />

fu maggiore di se stesso. Molte delle sue opere in Atene si vedevano nel Ceramico. Ma fra le molte<br />

eccellenti, e non solo di Prassitele ma di qualunche altro maestro singolare in tutto il mondo, è più<br />

chiara e più famosa quella Venere la qual sol per vedere e non per altra cagione alcuna molti di<br />

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