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Le Vite - Fondazione Memofonte

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Donatello per la scultura, e se stesso per la prospettiva et animali, e per la matematica Giovanni<br />

Manetti suo amico, col quale conferiva assai e ragionava delle cose di Euclide.<br />

Dicesi che essendogli dato a fare sopra la porta di S. Tommaso in Mercato Vecchio lo stesso Santo<br />

che a Cristo cerca la piaga, che egli mise in quell’opera tutto lo studio che seppe, dicendo che<br />

voleva mostrar in quella quanto valeva e sapeva. E così fece fare una serrata di tavole, acciò<br />

nessuno potesse vedere l’opera sua se non quando fusse finita. Per che, scontrandolo un giorno<br />

Donato tutto solo, gli disse: “E che opera sia questa tua, che così serrata la tieni ?”. Al qual<br />

respondendo Paulo disse: “Tu vedrai e basta”. Non lo volle astrigner Donato a dir più oltre,<br />

pensando, come era solito, vedere quando fusse tempo qualche miracolo. Trovandosi poi una<br />

mattina Donato per comperar frutte in Mercato Vecchio, vide Paulo che scopriva l’opera sua; per<br />

che salutandolo cortesemente, fu dimandato da esso Paulo, che curiosamente desiderava udirne il<br />

giudizio suo, quello che gli paresse di quella pittura. Donato, guardato che ebbe l’opera ben bene,<br />

disse: “Eh, Paulo, ora che sarebbe tempo di coprire, e tu scuopri”. Allora contristandosi Paulo<br />

grandemente, si sentì avere di quella sua ultima fatica molto più biasimo che non aspettava di<br />

averne lode, e non avendo ardire, come avvilito d’uscir più fuora, si rinchiuse in casa attenden[I.<br />

274]do alla prospettiva, che sempre lo tenne povero et intenebrato insino alla morte. E così divenuto<br />

vecchissimo e poca contentezza avendo nella sua vecchiaia, si morì l’anno ottantatreesimo della sua<br />

vita, nel 1432, e fu sepolto in Santa Maria Novella. Lasciò di sé una figliuola che sapeva disegnare,<br />

e la moglie; la qual soleva dire che tutta la notte Paulo stava nello scrittoio per trovar i termini della<br />

prospettiva, e che quando ella lo chiamava a dormire, egli le diceva: “Oh che dolce cosa è questa<br />

prospettiva!”. Et invero, s’ella fu dolce a lui, ella non fu anco se non cara et utile per opera sua a<br />

coloro che in quella si sono dopo lui esercitati.<br />

Il fine della Vita di Paulo Uccello pittore.<br />

[I. 275]<br />

VITA DI LORENZO GHIBERTI<br />

Pittore<br />

Non è dubio che, in tutte le città, coloro che con qualche virtù vengon in qualche fama fra li uomini<br />

non siano il più delle volte un santissimo lume d’esempio a molti che dopo lor nascono et in quella<br />

medesima età vivono, oltra le lodi infinite e lo straordinario premio ch’essi vivendo ne riportano; né<br />

è cosa che più desti gli animi delle genti e faccia parere loro men faticosa la disciplina degli studî<br />

che l’onore e l’utilità che si cava poi dal sudore delle virtù, perciò che elle rendono facile a<br />

ciascheduno ogni impresa difficile, e con maggiore impeto fanno accrescere la virtù loro quando<br />

con le lode del mondo s’inalzano: per che infiniti, che ciò sentono e veggono, si mettono alle fatiche<br />

per venire in grado di meritare quello che veggono aver meritato un suo compatriota; e per questo<br />

anticamente o si premiavano con ric[c]hezze i virtuosi, o si onoravano con trionfi et imagini. Ma<br />

perché rade volte è che la virtù non sia perseguitata dall’invidia, bisogna ingegnarsi, quanto si può il<br />

più, ch’ella sia da una estrema eccellenza superata, o almeno fatta gagliarda e forte a sostenere<br />

gl’impeti di quella, come ben seppe e per meriti e per sorte Lorenzo di Cione Ghiberti, altrimenti di<br />

Bartoluccio; il quale meritò da Donato scultore e Filippo Bruneleschi architetto e scultore, eccellenti<br />

artefici, essere posto nel luogo loro, conoscendo essi in verità, ancora che il senso gli strignesse<br />

forse a fare il contrario, che Lorenzo era migliore maestro di loro nel getto. Fu veramente ciò gloria<br />

di quegli e confusione di molti, i quali, presumendo di sé, si mettono in opera et occupano il luogo<br />

dell’altrui virtù, e non facendo essi frutto alcuno, ma penando mille anni a fare una cosa, sturbano et<br />

opprimono la scienzia degli altri con malignità e con invidia. Fu dunque Lorenzo figliuolo di<br />

Bartoluc[c]io Ghiberti, e dai suoi primi anni imparò l’arte dell’orefice col padre, il quale era<br />

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