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Le Vite - Fondazione Memofonte

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Lisimachia et uno Ercole che era in Roma con Anteo insieme, il quale egli, in aria sostenendolo e<br />

strignendolo, uccideva; et oltre a queste molte altre, le quali, come opere di ottimo maestro, furono<br />

per tutto estimate perfettissime, onde si tiene per fermo che egli desse ultimo compimento a questa<br />

arte. Fu proprio di questo nobile artefice temperare e con tale arte sospendere le sue figure che elle<br />

sopra un piè solo tutte si reggessero, o almeno ch’e’ paresse.<br />

Quasi alla medesima età fu anco celebrato infinitamente Mirone per quella bella giovenca che egli<br />

formò di bronzo, la quale fu in versi lodati molto commendata. Fece anco un cane di maravigliosa<br />

bellezza, et uno giovane che scagliava in aria il disco, et un satiro il quale pareva che stupisse al<br />

suono della sampogna, et una Minerva, et alcuni vincitori de’ giuochi delfici, i quali per aver vinto a<br />

due o a tutti, pentatli o pancratisti si solevano chiamare. Fece anco quel bello Ercole che era in<br />

Roma dal Circo Massimo in casa Pompeo Magno. Fece i sepolcri del cicala e del grillo, come ne’<br />

suoi versi lasciò scritto Erina poetessa. Fece quello Apollo, il quale, avendolo involato Antonio<br />

triunviro a quelli di Efeso, fu loro da Agusto renduto, essendoli ciò in sogno stato ricordato. Fu<br />

tenuto che costui per la varietà delle maniere delle figure e per il maggior numero che egli ne fece e<br />

per le proporzioni di tutte le sue opere, [fusse] più diligente e più accorto di quei di prima; ma par<br />

bene che nel fare i corpi ponesse maggiore studio che nel ritrarre l’animo e nel dare spirito alle<br />

figure, e che ne’ capegli e nelle barbe non fusse più lodato che si fusse stata l’antica rozzezza degli<br />

altri. Fu vinto da Pitagora italiano da Reggio in una figura fatta da lui e posta nel tempio di Apollo a<br />

Delfo, la quale rassembrava uno di quei campioni che alla lotta et alle pugna insiememente<br />

combattevano e che si chiamavano pancratisti. Vinselo anche <strong>Le</strong>onzio, il quale a Delfo a<br />

concorrenza pose alcune figure di giucatori olimpici. Iolpo similmente il vinse in una bella figura<br />

d’un fanciullo che teneva un libro e d’un altro che portava frutte, le quali figure ad Olimpia poi si<br />

vedevano, dove le più nobili e le più raguardevoli di tutta la Grecia si consacravano. Di questo<br />

medesimo artefice era a Siracusa un zoppo, il quale, dolendosi nello andare, pareva che a chi il<br />

mirava parimente porgesse dolore. Fece ancora uno Apollo il quale con l’arco uccideva il serpente.<br />

Questi il primo molto più artificiosamente e con maggior sottigliezza ritrasse ne’ corpi le vene et i<br />

nervi et i capegli, e ne fu molto commendato.<br />

Fu un altro Pitagora da Samo, il quale primieramente si esercitò nella pittura e poi si diede a ritrarre<br />

nel bronzo, e di volto e di statura si dice che era molto simigliante a quel detto poco fa che fu da<br />

Reggio, e nipote di sorella e parimente discepolo; di mano di cui a Roma si viddero alcune imagini<br />

di Fortuna nel tempio della istessa Iddea molto belle, mezze ignude, e perciò commendate e molto<br />

volentieri vedute.<br />

Dopo costoro fiorì Lisippo, il quale lavorò un gran numero di figure e più molto che alcuno altro; il<br />

che si confermò alla morte sua, perciò che del pregio di ciascuna soleva serbarsi una moneta d’oro e<br />

quella in sicuro luogo tener guardata, e si dice che gli eredi suoi ne trovarono [II. XXVI]<br />

secentodieci, et a tal numero si tiene che arrivassero le figure da lui fatte e lavorate; la qual cosa<br />

apena par che si possa credere, ma nel vero che egli in questo ogn’altro artefice vincesse non si può<br />

dubitare. E fra le opere lodate di lui sommamente piacque quella figura la quale pose Agrippa allo<br />

entrare delle sue stufe, della quale invaghì cotanto Tiberio imperadore che, benché in molte cose<br />

solesse vincere il suo appetito e massimamente nel principio del suo imperio, in questo nondimeno<br />

non si potette tenere che, mettendovene un’altra simile, non facesse quella quindi levare et in<br />

camera sua portarla; la quale fu con tanta instanza da tutto il popolo romano nel teatro e con tanti<br />

gridi richiesta e che ella quivi si riponesse donde ella era stata levata, che Tiberio, benché molto<br />

l’avesse cara, ne volle fare il popolo romano contento ritornandola al suo luogo. Era questa imagine<br />

d’uno che si stropicciava, figura che troppo bene conveniva al luogo dove Agrippa l’aveva<br />

destinata. Fu molto celebrato questo artefice in una figura d’una femmina cantatrice ebbra e in<br />

alcuni cani e cacciatori maravigliosamente ritratti, ma molto più per un carro del Sole con quattro<br />

cavagli che egli fece a richiesta de’ Rodiani. Ritrasse questo nobile artefice Alessandro Magno in<br />

molte maniere, cominciandosi da puerizia e d’età in età seguitando; una delle quali statue piacendo<br />

oltre a modo a Nerone, la fece tutta coprire d’oro, la quale poi essendone stata spogliata, fu tenuta<br />

molto più cara vedendovisi entro le ferite e le fessure dove era stato l’oro commesso. Ritrasse il<br />

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