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Le Vite - Fondazione Memofonte

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tazza antica di porfido bellissima larga sette braccia, il Pontefice per ornarne la sua vigna ordinò,<br />

mancandole alcuni pezzi, che la fusse restaurata; per che, mettendosi mano all’opera e provandosi<br />

molte cose per consiglio di Michelagnolo Buonarroti e d’altri eccellentissimi maestri, dopo molta<br />

lunghezza di tempo fu disperata l’impresa, massimamente non si potendo in modo nessuno salvare<br />

alcuni canti vivi come il bisogno richiedeva. E Michelagnolo, pur avezzo alla durezza de’ sassi,<br />

insieme con gl’altri se ne tolse giù né si fece altro. Finalmente, poi che niuna altra cosa in questi<br />

nostri tempi mancava alla perfezzione delle nostr’arti che il modo di lavorare perfettamente il<br />

porfido, acciò che neanco questo si abbia a disiderare, si è in questo modo ritrovato. Avendo l’anno<br />

1555 il signor duca Cosimo condotto dal suo palazzo e giardino de’ Pitti una bellissima acqua nel<br />

cortile del suo principale palazzo di Firenze per farvi una fonte di straordinaria bellezza, trovati fra i<br />

suoi rottami alcuni pezzi di porfido assai grandi, ordinò che di quelli si facesse una tazza col suo<br />

piede per la detta fonte; e per agevolar al maestro il modo di lavorar il porfido, fece di non so che<br />

erbe stillar un’acqua di tanta virtù che, spegnendovi dentro i ferri bollenti, fa loro una tempera<br />

durissima. Con questo segreto adunque, secondo ‘l disegno fatto da me, condusse Francesco del<br />

Tadda, intagliator da Fiesole, la tazza della detta fonte, che è larga due braccia e mezzo di diametro,<br />

et insieme il suo piede, in quel modo che oggi ella si vede nel detto palazzo. Il Tadda, parendogli<br />

che il segreto datogli dal Duca fusse rarissimo, si mise a far prova d’intagliar alcuna cosa, e gli<br />

riuscì così bene che in poco tempo ha fatto in tre ovati di mezzo rilievo grandi quanto il naturale il<br />

ritratto d’esso signor duca Cosimo, quello della duchessa <strong>Le</strong>onora et una testa di Gesù Cristo, con<br />

tanta perfezzione che i capegli e le barbe, che sono dificilissimi nell’intaglio, sono condotti di<br />

maniera che gl’antichi non stanno punto meglio. Di queste opere ragionando il signor Duca con<br />

Michelagnolo quando Sua Ecc[ellenza]fu in Roma, non voleva creder il Buonarroto che così fusse,<br />

per che, avendo io d’ordine del Duca mandata la testa del Cristo a Roma, fu veduta con molta<br />

maraviglia da Michelagnolo, il quale la lodò assai e si rallegrò molto di veder ne’ tempi nostri la<br />

scultura arric[c]hita di questo rarissimo dono, cotanto invano insino a oggi disiderato. Ha finito<br />

ultimamente il Tadda la testa di Cosimo Vecchio de’ Medici in uno ovato, come i detti di sopra, et<br />

ha fatto e fa continuamente molte altre somiglianti opere. Restami a dire del porfido che, per essersi<br />

oggi smarrite le cave di quello, è per ciò necessario servirsi di spoglie e di frammenti antichi e di<br />

rocchî di colonne et altri pezzi, e che però bisogna a chi lo lavora avvertire se ha avuto il fuoco,<br />

perciò che, quando l’ha avuto, se bene non perde in tutto il color né si disfà, manca nondimeno pure<br />

assai di quella vivezza che è sua propria e non piglia mai così bene il pulimento co[I. 13]me quando<br />

non l’ha avuto, e, che è peggio, quello che ha avuto il fuoco si schianta facilmente quando si lavora.<br />

E da sapere ancora, quanto alla natura del porfido, che messo nella fornace non si cuoce e non lascia<br />

interamente cuocer le pietre che gli sono intorno, anzi, quanto a sé, incrudelisce; come ne<br />

dimostrano le due colonne che i Pisani, l’anno 1117, donarono a’ Fiorentini dopo l’acquisto di<br />

Maiolica, le quali sono oggi alla porta principale del tempio di San Giovanni, non molto bene pulite<br />

e senza colore per avere avuto il fuoco, come nelle sue storie racconta Giovan Villani.<br />

Succede al porfido il serpentino, il quale è pietra di color verde scuretta alquanto con alcune<br />

crocette dentro giallette e lunghe per tutta la pietra, della quale nel medesimo modo si vagliano gli<br />

artefici per far colonne e piani per pavimenti per le fabriche. Ma di questa sorte non s’è mai veduto<br />

figure lavorate, ma sì bene infinito numero di base per le colonne e piedi di tavole et altri lavori più<br />

materiali, perché questa sorte di pietra si schianta, ancorché sia dura più che ‘l porfido e riesce a<br />

lavorarla più dolce e men faticosa che ‘l porfido; e cavasi in Egitto e nella Grecia, e la sua saldezza<br />

ne’ pezzi non è molto grande, conciosiaché di serpentino non si è mai veduto opera alcuna in<br />

maggior pezzo di braccia tre per ogni verso, e sono state tavole e pezzi di pavimenti. Si è trovato<br />

ancora qualche colonna, ma non molto grossa né larga, e similmente alcune maschere e mensole<br />

lavorate, ma figure non mai. Questa pietra si lavora nel medesimo modo che si lavora il porfido.<br />

Più tenera poi di questa è il cipollaccio, pietra che si cava in diversi luoghi, il quale è di color verde<br />

acerbo e gialletto et ha dentro alcune macchie nere quadre, picciole e grandi, e così bianche<br />

alquanto grossette; e si veggono di questa sorte in più luoghi colonne grosse e sottili, e porte et altri<br />

ornamenti, ma non figure. Di questa pietra è una fonte in Roma in Belvedere, cioè una nicchia in un<br />

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