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Le Vite - Fondazione Memofonte

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danno e guastarsi e per lo più a fine si fa di quelle che si fondano di bronzo e si lavorano di marmo,<br />

e però che coloro che in essa si esercitarono e vi ebber nome sono anco in queste altre chiari -,<br />

lasceremo di ragionare più di lei e verremo a dire di coloro che di bronzo ritraendo furono in<br />

maggior pregio, ché volere ragionare di tutti sarebbe cosa senza fine.<br />

Furono appresso i Greci, i quali queste arti molto più che alcun’altra nazione e molto più<br />

nobilmente l’esercitarono, in pregio alcune maniere di metallo l’una dall’altra differenti, secondo la<br />

lega di quello. E quinci avenne che alcune figure d’esso si chiamarono corintie, altre delìace et altre<br />

eginetiche: non che il metallo di questa o di quella sorte in questo o in quel luogo per natura si<br />

facesse, ma per arte, mescolando il rame chi con oro, chi con argento e chi con istagno, e chi più e<br />

chi meno, le quali misture gli davano poi proprio colore e più e men pregio et inoltre il proprio<br />

nome. Ma fu in maggiore stima il metallo di Corinto o fusse in vasellamento o fusse in figure, le<br />

quali furono di tal pregio e di sì rara et eccessiva bellezza che molti grandi uomini quando andavano<br />

attorno le portavano per tutto seco; e si trova scritto che Alessandro Magno, quando era in campo,<br />

reggeva il suo padiglione con istatue di metallo di Corinto, le quali poi furono portate a Roma.<br />

Il primo che fusse chiaro in questa sorte di lavoro si dice essere stato quel Fidia ateniese cotanto<br />

celebrato, il quale, oltre a lo aver fatto nel [II. XXIV] tempio Olimpico quel Giove dello avorio sì<br />

grande e sì venerando, fece anco molte statue di bronzo; et avengaché avanti a lui quest’arte fusse<br />

stata molto in pregio et in Grecia et in Toscana et altrove, nondimeno si giudicò che egli di cotanto<br />

avanzasse ciascuno che in tale arte avesse lavorato, che tutti gli altri ne divenissero oscuri e ne<br />

perdessero il nome. Fiorì questo nobile artefice, secondo il conto de Greci, nella olimpiade<br />

ottantreesima - che batte al conto de’ Romani intorno a l’anno trecentesimo dopo la fondazione di<br />

Roma -, e durò l’arte in buona riputazione dopo Fidia forse centocinquanta anni o poco più<br />

seguendo sempre molti discepoli i primi maestri, i quali in questo spazio furono quasiché senza<br />

numero. E queste due o tre etadi produssero il fiore di questa arte, benché alcuna volta poi essendo<br />

caduta, risorgesse, ma non mai con tanta nobiltà né con tanto favore; l’eccellenzia della quale mi<br />

sforzerò porre in queste carte, secondo che io trovo da altri esserne stato scritto. E prima si dice che<br />

furono fatte sette Amazzone, le quali si consecrarono in quel tanto celebrato tempio di Diana Efesia,<br />

a concorrenza da nobilissimi artefici, benché non tutte in un medesimo tempo; la bellezza e la<br />

perfezzione delle quali non si potendo così bene da ciascuno estimare, essendo ciascuna d’esse<br />

degna molto di essere commendata, giudicarono quella dover essere la migliore e la più bella che i<br />

più degli artefici, che alcuna ne avessero fatta, commendassero più dopo la sua propria. E così toccò<br />

il primo vanto a quella di Policleto, il secondo a quella di Fidia, il terzo a quella di Cresilla, e così di<br />

mano in mano secondo questo ordine l’altre ebbero la propria loda; e questo giudizio fu riputato<br />

verissimo et a questo poi stette ciascuno, avendole per tali. Fidia, oltre a quel Giove d’avorio che<br />

noi dicemo - la quale opera fu di tanto eccessiva bellezza che niuno si trovò che con ella ardisse di<br />

gareggiare - et oltre a una Minerva pur d’avorio che si guardava in Atene nel tempio di quella Dea<br />

et oltre a quella Amaz[z]one, fece anco di bronzo una Minerva di bellissima forma la quale dalla<br />

bellezza fu la Bella chiamata, et un’altra ancora la quale da Paolo Emilio fu al tempio della Fortuna<br />

consacrata, e due altre figure greche con il mantello le quali Q. Catulo pose nel medesimo tempio.<br />

Fece di più una figura di statura di colosso, et egli medesimo cominciò e mostrò, come si dice, a<br />

lavorare con lo scarpello di basso rilèvo.<br />

Venne dopo Fidia Policleto da Sicione, della cui mano fu quel morbido e delicato giovane di bronzo<br />

con la benda intorno al capo e che da quella ha il nome, il quale fu stimato e comperato cento<br />

talenti; e del medesimo anco fu quel giovinetto fiero e di corpo robusto, il quale dalla asta che ei<br />

teneva in mano, come suona la greca favella, fu Doriforo nominato. Fece ancor egli quella nobil<br />

figura la quale fu chiamata “il Regolo della arte”, dalla quale gli artefici, come da legge giustissima,<br />

solevano prendere le misure delle membra e delle fattezze che essi intendevano di fare, estimando<br />

quella in tutte le parti sue perfettissima. Fece ancora uno che si stropicciava et uno ignudo che<br />

andava sopra un piè solo, e duoi fanciulletti nudi che giocavano a’ dadi i quali da questo ebbero il<br />

nome, i quali poi lungo tempo si viddero a Roma [II. XXV] nel palazzo di Tito imperadore, della<br />

quale opera non si vide mai la più compiuta. Fece medesimamente un Mercurio che si mostrava in<br />

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