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Le Vite - Fondazione Memofonte

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che più si poteva, e metterla in uso in ogni opera per tutte le figure, che per questo si dice esser bella<br />

maniera.<br />

Queste cose non l’aveva fatte Giotto né que’ primi artefici, se bene eglino avevano scoperto i<br />

principii di tutte queste difficoltà, e toccatele in superficie, come nel disegno, più vero che non era<br />

prima e più simile alla natura, e così l’unione de’ colori et i componimenti delle figure nelle storie, e<br />

molte altre cose de le quali abastanza s’è ragionato. Ma se bene i secondi agomentarono<br />

grandemente a queste arti tutte le cose dette di sopra, elle non erano però tanto perfette che elle<br />

finissino di aggiugnere all’intero della perfezzione, mancandoci ancora nella regola una licenzia,<br />

che, non essendo di regola, fosse ordinata nella regola e potesse stare senza fare confusione o<br />

guastare l’ordine; il quale aveva bisogno d’una invenzione di tutte le cose e d’una certa bellezza<br />

continuata in ogni minima cosa, che mostrasse tutto quell’ordine con più ornamento. Nelle misure<br />

mancava uno retto giudizio, che senza che le figure fussino misurate, avessero in quelle grandezze<br />

ch’elle eran fatte una grazia che eccedesse la misura. Nel disegno non v’erano gli estremi del fine<br />

suo, perché, se bene e’ facevano un braccio tondo et una gamba diritta, non era ricerca con muscoli<br />

con quella facilità graziosa e dolce che apparisce fra ‘l vedi e non vedi, come fanno la carne e le<br />

cose vive; ma elle erano crude e scorticate, che faceva difficoltà agli occhi e durezza nella maniera,<br />

alla quale mancava una leggiadria di fare svelte e graziose tutte le figure, e massimamente le<br />

femmine et i putti con le membra naturali come agli uomini, ma ricoperte di quelle grassezze e<br />

carnosità che non siano goffe come li naturali, ma arteficiate dal disegno e dal giudizio. Vi<br />

mancavano ancora la copia de’ belli abiti, la varietà di tante biz[z]arrie, la vaghezza de’ colori, la<br />

univers[al]ità ne’ casamenti, e la lontananza e la varietà ne’ paesi. Et avegnaché molti di loro<br />

cominciassino, come Andrea Verrocchio, Antonio del Pollaiuolo e molti altri più moderni, a cercare<br />

di fare le loro figure più studiate e che ci apparisse dentro maggior disegno, con quella imitazione<br />

più simile e più apunto alle cose naturali, nondimeno e’ non v’era il tutto, ancora che ci fusse una<br />

sicurtà più certa che eglino andavano inverso il buono, e ch’elle fussino però approvate secondo<br />

l’opere degli antichi (come si vide quando il Verrocchio rifece le gambe e le braccia di marmo al<br />

Marsia di casa Medici in Fiorenza), mancando loro pure una fine et una estrema perfezzione ne’<br />

piedi, mani, capegli, barbe, ancora che il tutto delle membra sia accordato con l’antico et abbia una<br />

certa corrispondenza giusta nelle misure; ché s’eglino avessino avuto quelle minuzie dei fini che<br />

sono la perfezzione et il fiore dell’arte, arebbono avuto ancora una gagliardezza risoluta nell’opere<br />

loro, e ne sarebbe conseguito la leggiadria et una pulitezza e somma grazia che non ebbono, ancora<br />

che vi sia lo stento della diligenzia, che son quelli che dànno gli stremi dell’arte nelle belle figure o<br />

di rilievo o dipinte. Quella fine e quel certo che, che ci mancava, non lo potevano mettere così<br />

presto in atto, avvengaché lo studio insecchisce la maniera, quando egli è preso per terminare i fini<br />

in quel modo. Bene lo trovaron poi do[II. III]po loro gli altri, nel veder cavar fuora di terra certe<br />

anticaglie, citate da Plinio delle più famose: il Lacoonte, l’Ercole et il Torso grosso di Belvedere,<br />

così la Venere, la Cleopatra, lo Apollo, et infinite altre, le quali nella lor dolcezza e nelle lor<br />

asprezze, con termini carnosi e cavati dalle maggior’ bellezze del vivo, con certi atti che non in tutto<br />

si storcono ma si vanno in certe parti movendo, si mostrano con una graziosissima grazia, e furono<br />

cagione di levar via una certa maniera secca e cruda e tagliente, che per lo soverchio studio avevano<br />

lasciata in questa arte Pietro della Francesca, Lazaro Vasari, Alesso Baldovinetti, Andrea dal<br />

Castagno, Pesello, Ercole Ferrarese, Giovan Bellini, Cosimo Rosselli, l’Abate di San Clemente,<br />

Domenico del Ghirlandaio, Sandro Botticello, Andrea Mantegna, Filippo e Luca Signorello; i quali,<br />

per sforzarsi, cercavano fare l’impossibile dell’arte con le fatiche, e massime negli scórti e nelle<br />

vedute spiacevoli, che, sì come erano a loro dure a condurle, così erano aspre a vederle; et ancora<br />

che la maggior parte fussino ben disegnate e senza errori, vi mancava pure uno spirito di prontezza,<br />

che non ci si vide mai, et una dolcezza ne’ colori unita, che la cominciò ad usare nelle cose sue il<br />

Francia Bolognese e Pietro Perugino; et i popoli nel vederla corsero come matti a questa bellezza<br />

nuova e più viva, parendo loro assolutamente che e’ non si potesse già mai far meglio.<br />

Ma lo errore di costoro dimostrarono poi chiaramente le opere di Lionardo da Vinci, il quale dando<br />

principio a quella terza maniera che noi vogliamo chiamare la moderna, oltra la gagliardezza e<br />

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