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Le Vite - Fondazione Memofonte

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Vasari, come per più altre lettere che ha di suo, che lo raccomandassi al Duca che gli perdonassi,<br />

oltra a quello che (come ho detto) gli scrisse al Duca in escusazione sua; e se Michelagnolo fussi<br />

stato da poter cavalcare, sarebbe sùbito venuto a Fiorenza, onde credo che non si sarebbe saputo poi<br />

partire per ritornarsene a Roma, tanto lo mosse la tenerezza e l’amore che portava al Duca; et<br />

intanto attendeva a lavorare in detta fabbrica in molti luoghi per fermarla, ch’ella non potesse esser<br />

più mossa.<br />

In questo mentre alcuni gli avevon referto che papa Paulo Quarto era d’animo di fargli acconciare la<br />

facciata della Cappella dove è il Giudizio universale, perché diceva che quelle figure mostravano le<br />

parte vergognose trop[II. 761]po disonestamente; là dove fu fatto intendere l’animo del Papa a<br />

Michelagnolo, il quale rispose: “Dite al Papa che questa è piccola faccenda e che facilmente si può<br />

acconciare; che acconci egli il mondo, ché le pitture si acconciano presto”. Fu tolto a Michelagnolo<br />

l’ufizio della cancelleria di Rimini; non volse mai parlare al Papa, che non sapeva la cosa; il quale<br />

dal suo coppiere gli fu levato col volergli fare dare per conto della fabbrica di San Piero scudi cento<br />

il mese, che, fattogli portare una mesata a casa, Michelagnolo non gli accettò. L’anno medesimo gli<br />

nacque la morte di Urbino suo servidore, anzi, come si può chiamare e come aveva fatto, suo<br />

compagno. Questo venne a stare con Michelagnolo a Fiorenza l’anno 1530, finito l’assedio, quando<br />

Antonio Mini suo discepolo andò in Francia, et usò grandissima servitù a Michelagnolo, tanto che<br />

in 26 anni quella servitù e dimestichezza fece che Michelagnolo lo fe’ ricco e l’amò tanto che, così<br />

vecchio, in questa sua malattia lo servì e dormiva la notte vestito a guardarlo. Per il che, dopo che fu<br />

morto, il Vasari per confortarlo gli scrisse, et egli rispose con queste parole:<br />

Messer Giorgio mio caro. Io posso male scrivere; pur per risposta della vostra lettera dirò qualche cosa.<br />

Voi sapete come Urbino è morto; di che m’è stato grandissima grazia di Dio, ma con grave mio danno e<br />

infinito dolore. La grazia è stata che, dove in vita mi teneva vivo, morendo m’ha insegnato morire non<br />

con dispiacere, ma con desiderio della morte. Io l’ho tenuto ventisei anni e hollo trovato rarissimo e<br />

fedele, et ora che lo avevo fatto ricco e che io l’aspettavo bastone e riposo della mia vecchiezza, m’è<br />

sparito, né m’è rimasto altra speranza che di rivederlo in paradiso. E di questo n’ha mostro segno Iddio<br />

per la felicissima morte che ha fatto, ché, più assai che ‘l morire, gli è incresciuto lasciarmi in questo<br />

mondo traditore con tanti affanni; benché la maggior parte di me n’è ita seco, né mi rimane altro che una<br />

infinita miseria. E mi vi raccomando.<br />

Fu adoperato, al tempo di Paulo Quarto, nelle fortificazioni di Roma in più luoghi, e da Salustio<br />

Peruzzi, a chi quel Papa, come s’è detto altrove, aveva dato a fare il portone di Castello Santo<br />

Agnolo, oggi la metà rovinato; si adoperò ancora a dispensare le statue di quella opera e vedere i<br />

modelli degli scultori e correggerli. Et in quel tempo venne vicino a Roma lo esercito franzese, dove<br />

pensò Michelagnolo quella città avere a capitare male; dove con Antonio Franzese da Castel<br />

Durante, che gli aveva lassato Urbino in casa per servirlo nella sua morte, si risolvé fuggirsi di<br />

Roma, e segretamente andò Michelagnolo nelle montagne di Spuleto; dove egli visitando certi<br />

luoghi di romitori. Nel qual tempo scrivendoli il Vasari e mandandogli una operetta che Carlo<br />

<strong>Le</strong>nzoni, cittadino fiorentino, alla morte sua aveva lasciata a messer Cosimo Bartoli, che dovessi<br />

farla stampare e dirizzare a Michelagnolo, finita che ella fu, in que’ dì la mandò il Vasari a<br />

Michelagnolo, che, ricevuta, rispose così:<br />

Messer Giorgio amico caro. Io ho ricevuto il libretto di messer Cosimo che voi mi mandate, et in questa<br />

sarà una di ringraziamento; pregovi che gliene diate, et a quella mi raccomando. Io ho avuto a questi dì,<br />

con gran disagio e spesa, un gran piacere nelle montagne di [II. 762] Spuleti a visitare que’ romiti, in<br />

modo che io son ritornato men che mezzo a Roma, perché veramente e’ non si trova pace se non ne’<br />

boschi. Altro non ho che dirvi; mi piace che stiate sano e lieto, e mi vi raccomando. De’ 18 di settembre<br />

1556.<br />

Lavorava Michelagnolo quasi ogni giorno per suo passatempo intorno a quella Pietà che s’è già<br />

ragionato, con le quattro figure, la quale egli spezzò in questo tempo per queste cagioni: perché quel<br />

sasso aveva molti smerigli et era duro e faceva spesso fuoco nello scarpello; o fusse pure che il

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