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Le Vite - Fondazione Memofonte

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siano tanto triti ch’abbino del secco né tanto grossi che paino sassi, ma siano con il loro andar di<br />

pieghe girati talmente che scuoprino lo ignudo di sotto, e con arte e grazia talora lo mostrino e<br />

talora lo ascondino, senza alcuna crudezza che offenda la figura. Siano i suoi capegli e la barba<br />

lavorati con una certa morbidezza, svellati e ricciuti che mostrino di essere sfilati, avendoli data<br />

quella maggior piumosità e grazia che può lo scarpello, ancora che gli scultori in questa parte non<br />

possino così bene contraffare la natura, facendo essi le ciocche de’ capegli sode e ricciute più di<br />

maniera che di immitazione naturale. Et ancora che le figure siano vestite, è necessario di fare i<br />

piedi e le mani che siano condotte di bellezza e di bontà come l’altre parti. E per essere tutta la<br />

figura tonda, è forza che in faccia, in profilo e di dietro ella sia di proporzione uguale, avendo ella a<br />

ogni girata e veduta a rappresentarsi ben disposta per tutto. È necessario adunque che ella abbia<br />

corrispondenza e che ugualmente ci sia per tutto attitudine, disegno, unione, grazia e diligenza, le<br />

quali cose tutte insieme dimostrino l’ingegno et il valore dell’artefice. Debbono le figure, così di<br />

rilievo come dipinte, esser condotte più con il giudicio che con la mano, avendo a stare in altezza<br />

dove sia una gran distanza; perché la diligenza dell’ultimo finimento non si vede da lontano, ma si<br />

conosce bene la bella forma delle braccia e delle gambe et il buon giudicio nelle falde de’ panni con<br />

poche pieghe, perché nella simplicità del poco si mostra l’acutezza dell’ingegno. E per questo le<br />

figure di marmo o di bronzo che vanno un poco alte vogliono essere traforate gagliarde, acciò che il<br />

marmo che è bianco et il bronzo che ha del nero piglino all’aria della oscurità, e per quel[I. 33]la<br />

apparisca da lontano il lavoro esser finito e dappresso si vegga lasciato in bozze. La quale<br />

avvertenza ebbero grandamente gli antichi, come nelle lor figure tonde e di mez[z]o rilievo che<br />

negli archi e nelle colonne veggiamo di Roma, le quali mostrano ancora quel gran giudicio che egli<br />

ebbero; et infra i moderni si vede essere stato osservato il medesimo grandemente nelle sue opere da<br />

Donatello.<br />

Debbesi oltra di questo considerare che quando le statue vanno in un luogo alto e che abasso non sia<br />

molta distanza da potersi discostare a giudicarle da lontano, ma che s’abbia quasi a star loro sotto,<br />

che così fatte figure si debbon fare di una testa o due più di altezza. E questo si fa perché quelle<br />

figure che son poste in alto si perdono nello scórto della veduta, stando di sotto e guardando allo<br />

insù, onde ciò che si dà di accrescimento viene a consumarsi nella grossezza dello scórto, e tornano<br />

poi di proporzione, nel guardarle, giuste e non nane, ma con bonissima grazia. E quando non<br />

piacesse far questo, si potrà mantenere le membra della figura sottilette e gentili, ché questo ancora<br />

torna quasi il medesimo. Costumasi per molti artefici fare la figura di nove teste, la quale vien<br />

partita in otto teste tutta, eccetto la gola, il collo e l’altezza del piede, che con queste torna nove,<br />

perché due sono gli stinchi, due dalle ginocchia a’ membri genitali e tre il torso fino alla fontanella<br />

della gola, et un’altra dal mento all’ultimo della fronte, et una ne fanno la gola e quella parte ch’è<br />

dal dosso del piede alla pianta: che sono nove. <strong>Le</strong> braccia vengono appiccate alle spalle, e dalla<br />

fontanella all’appiccatura da ogni banda è una testa, et esse braccia sino a la appiccatura delle mani<br />

sono tre teste, et allargandosi l’uomo con le braccia, apre apunto tanto quanto egli è alto. Ma non si<br />

debbe usare altra miglior misura che il giudicio dello occhio, il quale, se bene una cosa sarà<br />

benissimo misurata et egli ne rimanghi offeso, non resterà per questo di biasimarla. Però diciamo,<br />

che se bene la misura è una retta moderazione da ringrandire le figure talmente che le altezze e le<br />

larghezze, servato l’ordine, faccino l’opera proporzionata e graziosa, l’occhio nondimeno ha poi<br />

con il giudicio a levare e ad aggiugnere, secondo che vedrà la disgrazia dell’opera, talmente che e’<br />

le dia giustamente proporzione, grazia, disegno e perfezzione, acciò che ella sia in sé tutta lodata da<br />

ogni ottimo giudicio. E quella statua o figura che averà queste parti sarà perfetta di bontà, di<br />

bellezza, di disegno e di grazia. E tali figure chiameremo tonde, purché si possino vedere tutte le<br />

parti finite, come si vede ne l’uomo girandolo a torno; e similmente poi l’altre che da queste<br />

dependono.<br />

Ma e’ mi pare oramai tempo da venire a le cose più particulari.<br />

Cap. IX<br />

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