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Le Vite - Fondazione Memofonte

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Fu questo Apelle molto umano inverso li artefici de’ suoi tempi et il primo che dètte riputazione alle<br />

opere di Protogene in Rodi, perciò che egli, come il più delle volte suole avvenire, tra i suoi<br />

cittadini non [II. XII] era stimato molto. E domandandogli Apelle alcuna volta quanto egli stimasse<br />

alcune sue figure, rispose non so che piccola cosa, onde egli dètte nome di voler per sé comperar<br />

quelle ch’egli avea lavorato e lavorerebbe per rivenderle per sue prezzo molto maggiore; il che fece<br />

aprire gli occhi a’ Rodiani, né volle cederle loro, se non arrogevano al prezzo con non poco utile di<br />

quel pittore.<br />

È cosa incredibile quello che è scritto di lui, cioè che egli ritraeva sì bene e sì apunto le imagini<br />

altrui dal naturale, che uno di questi che nel guardare in viso altrui fiso sogliono indovinare quello<br />

che ad alcuno sii avvenuto nel passato tempo o debba avvenire nel futuro - i quali si chiamano<br />

fisiomanti - guardando alcun ritratto fatto da Apelle, conobbe per quello quanto quegli di cui era il<br />

ritratto dovesse vivere o fusse vivuto. Dipinse con un nuovo modo Antigono re che l’uno degl’occhi<br />

aveva meno, in maniera che il difetto della faccia non apparisse, perciò che egli lo dipinse col viso<br />

tanto vòlto quanto bastò a celare in lui quel mancamento, non parendo però difetto alcuno nella<br />

figura.<br />

Ebbero gran nome alcune imagini da lui fatte di persone che morivano; ma fra le molte sue e molto<br />

lodate opere qual fosse la più perfetta non si sa così bene. Agusto Cesare consagrò al tempio di<br />

Giulio suo padre quella Venere nobilissima ch’è per uscir del mare e da quell’atto stesso fu<br />

chiamata Anadiomene, la quale da’ poeti greci fu mirabilmente celebrata et illustrata, alla parte di<br />

cui che s’era corrotta non si trovò chi ardisse por mano; il che fu grandissima gloria di cotal<br />

artefice. Egli medesimo cominciò a quelli di Còo un’altra Venere e ne fece il volto e la parte<br />

sovrana del petto, e si pensò, da quel che se ne vedeva, che egli arebbe e quella prima Dionea e se<br />

stesso in questa avanzato. Morte così bella opera interroppe né si trovò poi chi alla parte disegnata<br />

presumesse aggiugner colore. Dipinse ancora a quelli di Efeso nel tempio della lor Diana un<br />

Alessandro Magno con la saetta di Giove in mano, le dita della quale pareva che fussero di rilievo e<br />

la saetta che uscisse fuor della tavola, e ne fu pagato di moneta d’oro non a novero, ma a misura.<br />

Dipinse molte altre figure di gran nome, e Clito familiar di Alessandro in atto di apprestarsi a<br />

battaglia con il paggio suo che gli porgeva la celata. Non bisogna domandare quante volte né in<br />

quante maniere e’ ritraesse Alessandro o Filippo suo padre, che furono infinite, e quanti altri re e<br />

personaggi grandi ei dipignesse. In Roma si vide di lui Castore e Polluce con la Vittoria, et<br />

Alessandro trionfante con l’imagine della Guerra con le mani legate drieto al carro; le quali due<br />

tavole Agusto consacrò al suo Foro nelle parti più onorate di quello, e Claudio poi, cancellandone il<br />

volto di Alessandro, vi fece riporre quello di Agusto. Dipinse uno Eroe ignudo, quasi in quest’opera<br />

volesse gareggiare con la natura. Dipinse ancora a pruova con certi altri pittori un cavallo, dove,<br />

temendo del giudizio degli uomini et insospettito del favore de’ giudici inverso i suoi avversarii,<br />

chiese che se ne stesse al giudizio de’ cavagli stessi; et essendo menati i cavalli d’attorno a’ ritratti<br />

di ciascuno, ringhiarono a quel d’Apelle solamente- il qual giudizio fu stimato verissimo. Ritrasse<br />

Antigono in corazza con il cavallo drieto et in altre maniere molte; e di tutte le sue opere, quelli che<br />

di così fatte opere s’intesero, giudicarono l’ottima essere uno Antigono a cavallo. Fu bella anco di<br />

lui una Diana secondo che la dipinse in versi Omero, e pa[II. XIII]re che il dipintore in questo<br />

vincesse il poeta.<br />

Dipinse inoltre con nuovo modo e bella invenzione la Calunnia, prendendone questa occasione. Era<br />

egli in Alessandria in corte di Tolomeo re e per la virtù sua in molto favore. Ebbevi dell’arte stessa<br />

chi l’invidiava e, cercando di farlo mal capitare, l’accusò di congiura contro a Tolommeo di cosa<br />

nella quale non solo non aveva colpa veruna Apelle, ma né anco era da credere che un tal pensiero<br />

gli fusse mai caduto nell’animo. Fu nondimeno vicino al perderne la persona, credendo ciò il re<br />

scioccamente, e perciò, ripensando egli seco stesso al pericolo il quale aveva corso, volle mostrare<br />

con l’arte sua che e come pericolosa cosa fosse la calunnia. E così dipinse un re a sedere con<br />

orecchie lunghissime e che porgeva innanzi la mano, da ciascuno de’ lati del quale era una figura, il<br />

Sospetto e l’Ignoranza. Dalla parte dinanzi veniva una femmina molto bella e bene adobbata con<br />

sembiante fiero et adirato, e con essa la sinistra teneva una facellina accesa e con la destra<br />

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