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Le Vite - Fondazione Memofonte

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L’edifizio sopradetto del Duomo di Pisa, svegliando per tutta Italia et in Toscana massimamente<br />

l’animo di molti a belle imprese, fu cagione che nella città di Pistoia si diede principio l’anno mille<br />

e trentadue alla chiesa di San Paulo, presente il Beato Atto vescovo di quella città, come si legge in<br />

un contratto fatto in [I. 79] quel tempo, et insomma a molti altri edifizii, de’ quali troppo lungo<br />

sarebbe fare al presente menzione. Non tacerò già, continuando l’andar de’ tempi, che l’anno poi<br />

mille e sessanta fu in Pisa edificato il tempio tondo di San Giovanni dirimpetto al Duomo et in sulla<br />

medesima piazza. E quello che è cosa maravigliosa e quasi del tutto incredibile, si truova per<br />

ricordo in uno antico libro dell’Opera del Duomo detto che le colonne del detto San Giovanni, i<br />

pilastri e le volte furono rizzate e fatte in quindici giorni e non più. E nel medesimo libro, il quale<br />

può chiunche n’avesse voglia vedere, si legge che per fare quel tempio fu posta una gravezza d’un<br />

danaio per fuoco, ma non vi si dice già se d’oro o di piccioli: et in quel tempo erano in Pisa, come<br />

nel medesimo libro si vede, trentaquattromila fuochi. Fu certo questa opera grandissima di molta<br />

spesa e difficile a condursi, e massimamente la volta della tribuna fatta a guisa di pera e di sopra<br />

coperta di piombo. Il difuori è pieno di colonne, d’intagli e d’istorie, e nel fregio della porta di<br />

mezzo è un Gesù Cristo con dodici Apostoli, di mezzo rilievo di maniera greca.<br />

I Lucchesi ne’ medesimi tempi, cioè l’anno mille e sessantuno, come concorrenti de’ Pisani<br />

principiarono la chiesa di San Martino in Lucca col disegno, non essendo allora altri architetti in<br />

Toscana, di certi discepoli di Buschetto. Nella facciata dinanzi della qual chiesa si vede appiccato<br />

un portico di marmo con molti ornamenti et intagli di cose fatte in memoria di papa Alessandro<br />

Secondo, stato poco innanzi che fusse assunto al pontificato vescovo di quella città; della quale<br />

edificazione e di esso Alessandro si dice in nove versi latini pienamente ogni cosa. Il medesimo si<br />

vede in alcune altre lettere antiche intagliate nel marmo sotto il portico in fra le porte. Nella detta<br />

facciata sono alcune figure, e sotto il portico molte storie di marmo di mezzo rilievo della vita di<br />

San Martino e di maniera greca; ma le migliori, le quali sono sopra una delle porte, furono fatte<br />

centosettanta anni doppo da Nicola Pisano e finite nel milleducentotrentatre (come si dirà al luogo<br />

suo), essendo Operai, quando si cominciarono, Abellenato et Aliprando, come per alcune lettere nel<br />

medesimo luogo intagliate in marmo apertamente si vede. <strong>Le</strong> quali figure di mano di Nicola Pisano<br />

mostrano quanto per lui migliorasse l’arte della scultura.<br />

Simili a questi furono per lo più, anzi tutti, gl’edifizii che dai tempi detti di sopra insino all’anno<br />

milledugentocinquanta furono fatti in Italia, perciò che poco o nullo acquisto o miglioramento si<br />

vide nello spazio di tanti anni avere fatto l’architettura, ma essersi stata nei medesimi termini et<br />

andata continuando in quella goffa maniera della quale ancora molte cose si veggiono; di che non<br />

farò al presente alcuna memoria, perché se ne dirà di sotto, secondo l’occasioni che mi si<br />

porgeranno.<br />

<strong>Le</strong> sculture e le pitture similmente buone, state sotterrate nelle rovine d’Italia, si stettono insino al<br />

medesimo tempo rinchiuse o non conosciute dagli uomini [I. 80] ingrossati nelle goffezze del<br />

moderno uso di quell’età, nella quale non si usavano altre sculture né pitture che quelle le quali un<br />

residuo di vecchi artefici di Grecia facevano o in imagini di terra e di pietra o dipignendo figure<br />

mostruose e coprendo solo i primi lineamenti di colore. Questi artefici, com’e’ migliori, essendo<br />

soli in queste professioni, furono condotti in Italia dove portarono insieme col musaico la scultura e<br />

la pittura in quel modo che la sapevano, e così le insegnarono agl’Italiani - goffe e rozzamente; i<br />

quali Italiani poi se ne servirono, come si è detto e come si dirà, insino a un certo tempo. E<br />

gl’uomini di que’ tempi, non essendo usati a veder altra bontà né maggior perfezzione nelle cose di<br />

quella che essi vedevano, si maravigliavano, e quelle, ancora che baron[c]esche fossero, nondimeno<br />

per le migliori apprendevano. Pur gli spirti di coloro che nascevano, aitati in qualche luogo dalla<br />

sottilità dell’aria, si purgarono tanto che nel MCCL il cielo, a pietà mossosi dei belli ingegni che ‘l<br />

terren toscano produceva ogni giorno, gli ridusse alla forma primiera. E se bene gli innanzi a loro<br />

avevano veduto residui d’archi o di colossi o di statue, o pili o colonne storiate, nell’età che furono<br />

dopo i sacchi e le ruine e gl’incendî di Roma e’ non seppono mai valersene o cavarne profitto<br />

alcuno sino al tempo detto di sopra; gl’ingegni che vennero poi, conoscendo assai bene il buono dal<br />

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