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DIALOGO DELLA DIVINA PROVVIDENZA - Altervista

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si leva con amore a cognoscere se medesima e la mia bontá in sé, e comincia a pigliare speranza<br />

della misericordia mia, nella quale il cuore sente allegrezza. Mescolato el dolore della colpa con<br />

allegrezza della speranza della divina mia misericordia, l'occhio alora comincia a piangere: la quale<br />

lagrima esce della fontana del cuore. Ma perché ancora non è gionta a la grande perfeczione, spesse<br />

volte gitta lagrime sensuali. Se tu mi dimandi: — Per che modo? — rispondoti: Perché la radice de<br />

l'amore proprio di sé non è d'amore sensitivo (che giá v'è levato per lo modo decto), ma è uno<br />

amore spirituale quando l'anima appetisce le spirituali consolazioni, delle quali distesamente ti dixi<br />

la imperfeczione loro, o mentali o con mezzo d'alcuna creatura amata di spirituale amore. Quando è<br />

privata di quella cosa che ama, cioè delle consolazioni o dentro o di fuore (dentro, per consolazione<br />

che abbi tracta da me; o di fuore, della consolazione che aveva dalla creatura), e sopravenendo le<br />

temptazioni o persecuzioni dagli uomini, el cuore ha dolore: e subbito l'occhio, che sente il dolore e<br />

la pena del cuore, comincia a piangere d'uno pianto tenero e compassionevole a se medesima, d'una<br />

compassione spirituale di proprio amore, perché non è ancora conculcata e annegata la propria<br />

volontà in tucto. Per questo modo gitta lagrime sensuali, cioè di spirituale passione.<br />

Ma, crescendo ed exercitandosi nel lume del cognoscimento di sé, concipe uno<br />

dispiacimento in se medesima e odio perfecto di se medesima, unde traie uno cognoscimento vero<br />

della mia bontá con uno fuoco d'amore, e comincia a unirsi e conformare la volontà sua con la mia.<br />

E cosí comincia a sentire (172) gaudio e compassione: gaudio in sé per l'affetto de l'amore, e<br />

compassione al proximo, si come nel terzo stato Io ti narrai. Subbito l'occhio, che vuole satisfare al<br />

cuore, geme nella caritá mia e del proximo suo con cordiale amore, dolendosi solo de l'offesa mia e<br />

del dapno del proximo e non di pena né danno proprio di sé, perché non pensa di sé, ma solo pensa<br />

di potere rendere gloria e loda al nome mio; e con espasimato desiderio si diletta di prendere il cibo<br />

in su la mensa della sanctissima croce, cioè conformandosi con l'umile, paziente e inmaculato<br />

Agnello, unigenito mio Figliuolo, del quale feci ponte, come detto è.<br />

Poi che cosí dolcemente è ita per lo ponte, seguitando la doctrina della dolce mia Verità, e<br />

passata per questo Verbo, sostenendo con vera e dolce pazienzia ogni pena e molestia, secondo che<br />

Io ho permesso per la salute sua, ella virilmente l'ha ricevute, none eleggendole a suo modo ma a<br />

mio; e non tanto che porti con pazienzia, come Io ti dixi, ma con allegrezza sostiene. E recasi in una<br />

gloria d'essere perseguitata per lo nome mio, pure che abbia di che patire. Alora viene l'anima a<br />

tanto diletto e tranquillità di mente, che non è lingua sufficiente a poterlo narrare.<br />

Passata col mezzo di questo Verbo (cioè per la doctrina de l'unigenito mio Figliuolo),<br />

fermato l'occhio de l'intelletto in me, dolce prima Verità, veduta la cognosce, e cognoscendo l'ama.<br />

Tratto l'affetto dietro a l' intelletto, gusta la Deitá mia etterna, la quale cognosce, e vede essa natura<br />

divina unita con la vostra umanità. Riposasi alora in me, mare pacifico. EI cuore è unito per affetto<br />

d'amore in me, si come nel quarto unitivo stato ti dixi. Nel sentimento di me, Deitá etterna, l'occhio<br />

comincia a versare lagrime di dolcezza, che drittamente sonno uno latte che nutrica l'anima in vera<br />

pazienzia. Queste lagrime sonno uno unguento odorifero che gicta odore di grande soavità.<br />

O dilettissima figliuola mia, quanto è gloriosa quella anima che cosí realmente ha saputo<br />

trapassare dal mare tempestoso a me, mare pacifico, e impíto el vaso del cuore suo nel mare di me,<br />

somma ed etterna Deitá ! E però l'occhio, ch'è uno (173) condotto, s'ingegna, come egli ha tracto del<br />

cuore, di satisfarli; e cosí versa lagrime.<br />

Questo è quello ultimo stato dove l'anima sta beata e dolorosa: beata sta per l'unione che ha<br />

fatta meco per sentimento, gustando l'amore divino; dolorosa sta per l'offesa che vede fare a me,<br />

bontá e grandezza mia, la quale ha veduta e gustata nel cognoscimento di sé e di me, per lo quale<br />

cognoscimento di sé e di me gionse a l'ultimo stato. E non è però impedito lo stato unitivo (che dá<br />

lagrime di grande dolcezza), per lo conoscimento di sé, nella caritá del proximo, nella quale trovò<br />

pianto d'amore della divina mia misericordia e dolore de l'offesa del proximo: piangendo con coloro

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