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DIALOGO DELLA DIVINA PROVVIDENZA - Altervista

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l'obbediente Agnello, unigenito mio Figliuolo, che gli tolle la pena. E però va per la via della bugia,<br />

credendovi trovare dilecto, e egli vi truova pena e amaritudine. Chi vel guida? L'amore, che egli ha,<br />

per la propria passione, al disobbedire. Questi, come stolto, vuole navicare in questo mare<br />

tempestoso sopra le braccia sue, fidandosi nel suo misero sapere; e non vuole navigare sopra le<br />

braccia de l'ordine e del prelato suo. Questi sta bene nella navicella de l'ordine corporalmente, ma<br />

non mentalmente: anco n'è escito per desiderio, non observando l'ordinazioni né i costumi de<br />

l'ordine né i tre voti promessi, che egli promisse, nella sua professione, d'observare. Egli sta nel<br />

mare della tempesta percosso dai venti molto contrari alla navicella. Sta attaccato solo per li panni,<br />

portando l'abito in sul corpo, ma non in cuore.<br />

Questo non è frate, ma uno uomo vestito: uomo in forma, ma in effetto e nel vivere suo è<br />

peggio che animale. E non vede egli che piú fadiga gli è a navicare con le sue braccia che con<br />

l'altrui? E non vede egli ch'egli sta a pericolo di morte etternale, come il panno si staccasse dalla<br />

navicella, che, subbito che fusse staccato col mezzo della morte, non avarebbe (388) piú rimedio?<br />

No, che egli nol vede: perché con la nuvila de l'amore proprio, unde gli è venuta la disobbedienzia,<br />

s'è privato del lume che non el lassa vedere e' guai suoi. Adunque miserabilemente s'inganna.<br />

Che fructo produce l’arbore di questo misero? Frutto di morte, perché ha piantata la radice<br />

de l'affetto suo nella superbia, che egli ha tratta del piacere e amore proprio di sé. E però ogni cosa<br />

n'esce corrotto. E' fiori, le foglie e il fructo e i rami de l’arbore tutti sono guasti. E' tre rami, che ha<br />

questo arbore, sonno guasti, cioè il ramo de l’obbedienzia, povertà e continenzia, che sonno tre rami<br />

che si contengono nel pedone de l'affetto, el quale è male piantato, come detto è. Le foglie che<br />

produce questo arbore, che sono le parole, sonno corrotte per si facto modo che nella bocca d'uno<br />

ribaldo secolare non starebbero. E, s'egli avara ad anunziare la parola mia, egli la gitta con parlare<br />

polito, none schietto ch'egli attenda a pàsciare l’anime di questo seme della mia parola, ma parlare<br />

molto politamente.<br />

Se tu raguardi e' fiori di questo arbore, essi gittano puzza: ciò sonno le varie e diverse<br />

cogitazioni, le quali voluntariamente riceve con diletto e piacimento, non fuggendo el luogo né le<br />

vie che vel fanno venire; anco le cerca per potere venire a compimento del peccato, el quale è uno<br />

fructo che l'uccide, tollegli la vita della grazia e dagli morte etternale. E che puzza gitta questo<br />

fructo generato col fiore de l'arbore? Gitta puzza di disobbedienzia; col pensiero del cuore vuole<br />

investigare e giudicare in male la volontà del prelato suo: gitta inmondizia, dilectandosí con molte<br />

conversazioni col miserabile vocabolo delle divote.<br />

O misero, tu non t'avedi che, sotto il colore della devozione, riescirai con la brigata de'<br />

figliuoli ! Questo ti dá la disobbedienzia tua. Non hai presi e' figliuoli delle virtú, si come fa il vero<br />

obbediente. Egli cerca d'ingannare il prelato suo, quando vede che gli diniega quello che la perversa<br />

sua volontà vorrebbe, usando le foglie delle parole lusinghevoli o aspre, parlando inreverentemente<br />

e con rimproverio. Egli non conporta il fratello (389) suo, né può sostenere una piccola parola né<br />

riprensione che gli fusse fatta; ma subbito traie fuore il fructo avelenato della inpazienzia, ira e odio<br />

verso il fratello suo, giudicando in suo male quello che egli ha facto in suo bene; e, cosí<br />

scandalizzato, vive in pena l'anima e ‘l corpo.<br />

Perché è dispiaciuto al fratello suo? Perché piacque a sé sensitivamente. Egli fugge la cella<br />

come fusse uno veleno, perché egli è escilo della cella del cognoscimento di sé, per la qual cosa egli<br />

venne a disobbedienzia: però non può stare nella cella attuale. Nel refectorio non vuole apparire, se<br />

non come a suo nemico, mentre che egli ha che spendere: non avendo che, la necessità vel mena.<br />

Bene fecero dunque gli obbedienti, che volsero observare il voto della povertà per non avere-che<br />

spendere, acciò che non gli traesse della soave mensa del refectorio, dove l'obbediente notrica in<br />

pace e in quiete l'anima e’l corpo. Non ha pensiere d'apparechiare né provedersi come il misero;<br />

el,quale misero, al gusto suo, il visitare il refectorio gli pare amaro, e però il fugge.

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