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DIALOGO DELLA DIVINA PROVVIDENZA - Altervista

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Figliuolo, sostenendo morte e passione, con la morte sua destrusse la morte vostra, facendovi bagno<br />

del sangue suo. Sí che ‘l sangue e morte sua, ed in virtú della natura mia divina unita con la natura<br />

umana, diserroe vita etterna. A cui ne lassoe le chiavi di questo Sangue? Al glorioso apostolo Pietro<br />

e a tutti gli altri, che so' venuti o verranno di qui a l'ultimo di del giudicio; si che tutti hanno e<br />

avaranno quella medesima auctorità che ebbe Pietro. E per neuno loro difetto non diminuisce questa<br />

auctorità, né tolle la perfeczione al Sangue né ad alcuno sacramento, perché giá ti dixi che questo<br />

Sole per neuna immondizia si lordava, e non perde la luce sua per tenebre di peccato mortale che<br />

fusse in colui che ‘l ministra o in colui che ‘l riceve: però che la colpa sua neuna lesione a'<br />

sacramenti della sancta Chiesa può fare, né diminuire la virtú in loro; ma ben diminuisce la grazia, e<br />

cresce la colpa in colui che ‘l ministra e in colui che ‘l riceve indegnamente.<br />

Si che Cristo in terra tiene le chiavi del Sangue, si come, se ben ti ricorda, lo tel manifestai<br />

in questa figura, volendoti mostrare quanta reverenzia e' secolari debbono avere a questi ministri, o<br />

buoni o gattivi che siano, e quanto mi spiaceva la inreverenzia. Sai che lo ti posi el corpo mistico<br />

della sancta Chiesa quasi in forma d'uno cellaio, nel quale cellaio era il sangue de l'unigenito mio<br />

Figliuolo; nel quale sangue vagliono tutti e' sacramenti, e hanno vita in virtú di questo sangue. A la<br />

(232) porta di questo cellaio era Cristo in terra, a cui era commesso a ministrare el Sangue, e a lui<br />

stava di mectere i ministratori che l’aitassero a ministrare per tucto l'universale corpo della religione<br />

cristiana. Chi era acceptato e unto da lui n'era facto ministro, e altri no. Da costui esce tucto l'ordine<br />

chericato, e messili, ciascuno ne l'offizio suo, a ministrare questo glorioso Sangue. E come egli gli<br />

ha messi per suoi aitatori, cosí a lui tocca el correggerli de' difecti loro; e cosí voglio che sia, che,<br />

per l’excellenzia ed auctorità che Io l'ho data, Io gli ho tracti della servitudine, cioè subieczione<br />

della signoria de' signori temporali. La legge civile non ha a fare cavelle con la legge loro in<br />

punizione; ma solo in colui che è posto a signoreggiare e a ministrare nella legge divina. Questi<br />

sono e' miei unti, e però dixi per la Scriptura: « Non vogliate toccare e' cristi miei ». Unde a<br />

maggiore ruina non può venire l'uomo che se ne fa punitore.<br />

CXVI. Come la persecuzione, che si fa a la sancta Chiesa o vero a' ministri, Dio<br />

la reputa facta a sé, e come questa colpa piú è grave che neuna altra.<br />

— E se tu mi dimandassi per che cagione Io ti mostrai che piú era grave la colpa di coloro<br />

che perseguitavano la sancta Chiesa che tucte l'altre colpe commesse, e perché per li loro difecti Io<br />

non volevo che la reverenzia verso di loro diminuisse, Io ti rispondarei e rispondo: perché ogni<br />

reverenzia che si fa a loro, non si fa a loro, ma a me, per la virtú del Sangue che Io l'ho dato a<br />

ministrare. Unde, se non fusse questo, tanta reverenzia avareste a loro quanta agli altri uomini del<br />

mondo, e non piú. E per questo ministerio sète costrecti a far lo' reverenzia; e a le loro mani vi<br />

conviene venire, non a loro per loro, ma per la virtú che Io ho data a loro, se volete ricevere i sancti<br />

sacramenti della Chiesa; però che, potendoli avere e non volendogli, sareste e morreste in stato di<br />

dannazione.<br />

Si che la reverenzia è mia e di questo glorioso Sangue (che siamo una medesima cosa per<br />

l'unione della natura divina con (233) la natura umana, come decto è), e non loro. E si come la<br />

reverenzia è mia, cosí la inreverenzia: ché giá t'ho decto che la reverenzia non dovete fare a loro per<br />

loro, ma per l’auctorità che lo ho data a loro. E cosí non debbono essere offesi, però che,<br />

offendendo loro, offendono me e non loro. E giá l'ho vetato, e decto che i miei cristi — non voglio<br />

che sieno toccati per le loro mani; e per questo neuno si può scusare dicendo: — Io non fo ingiuria<br />

né so' ribello a la sancta Chiesa, ma follo a' difecti de' gactivi pastori. — Questi mente sopra el capo

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