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Dipartimento di - Università degli Studi del Molise

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<strong>del</strong>l’or<strong>di</strong>ne gerarchico dato dalla nascita, ma non permise che questo creasse<br />

troppe <strong>di</strong>suguaglianze ed eventuali <strong>di</strong>ssapori tra i fratelli nocendo alla coesione<br />

familiare. Vincolò, pertanto, il patrimonio attraverso un particolare<br />

bilanciamento <strong>di</strong> legati concatenati tra loro i quali, come vedremo, subirono non<br />

poche, ulteriori mo<strong>di</strong>fiche 294 .<br />

Nonostante, infatti, a partire dalla metà <strong>del</strong> XVI secolo, si fosse formata una<br />

trattatistica sulla primogenitura, la prassi <strong>di</strong> trovare adattamenti all’interno <strong>del</strong><br />

<strong>di</strong>ritto per bilanciare lo svantaggio dei cadetti sopravvisse fino a tutto il<br />

Settecento. Questo atteggiamento, fin dalle origini, era stato favorito dalla<br />

concezione religiosa <strong>del</strong> <strong>di</strong>ctum beati, in cui le virtù caritatevoli <strong>del</strong>la pace tra i<br />

fratelli tranquillizzavano le coscienze dei titolari <strong>del</strong>le primogeniture non meno<br />

<strong>di</strong> quelle dei capifamiglia che, ricorrendo alle successioni primogeniturali<br />

agnatizie, generavano il <strong>di</strong>sorientamento <strong>di</strong> figli e figlie. Da sempre, infatti, in<br />

queste <strong>di</strong>namiche erano coinvolte anche le coscienze dei <strong>di</strong>seredati che<br />

vivevano sulla propria pelle un’ingiustizia 295 . C’era, poi, la religione a<br />

richiamare un or<strong>di</strong>ne al quale appellarsi rispetto a quello <strong>del</strong> <strong>di</strong>ritto. Ciò non<br />

vuol <strong>di</strong>re che i due or<strong>di</strong>ni fossero in conflitto tra loro. I giuristi stessi<br />

registravano il dettato religioso quasi a volerne sancire la vali<strong>di</strong>tà nella<br />

risoluzione <strong>di</strong> situazioni particolari nelle quali il <strong>di</strong>ritto, seppur degnamente<br />

confinato, non poteva entrare in pieno. Riferendosi alle norme che dovevano<br />

guidare le relazioni personali all’interno dei gruppi, si affermava che tra padri e<br />

figli dovessero vigere virtù come la caritas, l’amicitia, la pietas, la reverentia, e<br />

la stessa iustitia. Pertanto le famiglie, nelle politiche successorie, ricorrevano<br />

anche a ciò che si poteva definire una potestà domestica priva <strong>di</strong> giuris<strong>di</strong>zione<br />

che, naturalmente, si affiancava alla patria potestà <strong>del</strong> titolare <strong>del</strong>la<br />

primogenitura che costituiva potestas publica 296 . In una società stratificata come<br />

quella settecentesca, fortemente segnata dalla mentalità e dai comportamenti<br />

rivolti alla salvaguar<strong>di</strong>a <strong>del</strong> prestigio e dei privilegi nobiliari, le madri che<br />

avevano la possibilità <strong>di</strong> gestire <strong>di</strong>rettamente le successioni si trovavano<br />

294 Un caso simile, seppur precedente, è quello <strong>del</strong>la duchessa Beatrice Caracciolo la quale si<br />

comportò come la Mastrogiu<strong>di</strong>ce quando scelse <strong>di</strong> <strong>di</strong>videre i suoi averi tra i tre figli maschi<br />

Petraccone, Innico e Gianbattista. A tal proposito si veda E. Papagna, Sogni e bisogni <strong>di</strong> una<br />

famiglia aristocratic, cit., pp. 103-104. Sul tema si veda anche e G. Calvi, Il contratto morale.<br />

Madri e figli nella Toscana moderna, Roma-Bari, Laterza, 1994 e il più recente lavoro <strong>di</strong> I.<br />

Fazio, D. Lombar<strong>di</strong> (a cura <strong>di</strong>), Generazioni, cit.<br />

295 B. Clavero, Dictum beati. A proposito <strong>del</strong>la cultura <strong>del</strong> lignaggio, in «Quaderni storici», 86,<br />

2, 1994, p. 341.<br />

296 Ivi, p. 347.<br />

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