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Dipartimento di - Università degli Studi del Molise

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essa signora marchesa, per suo vitalizio e sua vita durante, ducati duecento<br />

l’anno, da decorrere a beneficio <strong>di</strong> esso signor don Diego detto suo annuo<br />

vitalizio dal dì <strong>del</strong>la morte <strong>di</strong> essa signora marchesa, senza che lo stesso<br />

signor don Diego possa molestare in modo alcuno detto signor marchese<br />

suo fratello per qualunque cagione, ne pretendere verun’altra cosa, anche se<br />

fusse per ragione <strong>di</strong> legittima e supplemento <strong>di</strong> essa 320 .<br />

Ristabiliti, così, gli equilibri tra i fratelli, Sinforosa Mastrogiu<strong>di</strong>ce imponeva<br />

al figlio primogenito co<strong>di</strong>cilli che, riguardando altre persone <strong>del</strong>la famiglia a lei<br />

molto vicine, le consentivano <strong>di</strong> rimanere “viva” nei ricor<strong>di</strong> dei propri cari.<br />

Per prima cosa la marchesa si occupò <strong>del</strong> nipote maschio Francesco, nato dal<br />

matrimonio tra Giuseppe Maria Ceva Grimal<strong>di</strong> e Angela Pisanelli chiedendo <strong>di</strong>:<br />

dare e pagare esso signor marchese al signor don Francesco Ceva<br />

Grimla<strong>di</strong> suo figlio secondogenito, vita durante <strong>di</strong> quello, annui ducati<br />

venti, decorren<strong>di</strong> a suo beneficio dal detto dì <strong>del</strong>la morte <strong>di</strong> essa signora<br />

marchesa 321 .<br />

Successivamente pensò alle due sorelle e alle figlie, adoperandosi perché la<br />

vita in monastero <strong>di</strong> tutte loro fosse più che decorosa e, soprattutto, priva <strong>di</strong><br />

ristrettezze.<br />

Per le donne aristocratiche <strong>di</strong> antico regime, come più volte detto, se non<br />

c’era un destino da mogli non poteva che esserci un destino da monaca. Dopo la<br />

prima metà <strong>del</strong> Settecento, caduta in desuetu<strong>di</strong>ne la vita claustrale, alle donne<br />

nobili non restò che quella matrimoniale. Le fanciulle <strong>del</strong>le gran<strong>di</strong> casate<br />

cominciarono, infatti, a <strong>di</strong>sertare i monasteri come accadde ai Caracciolo <strong>di</strong><br />

Martina le cui giovani donne, dopo l’ultima monacazione risalente al 1738 che<br />

aveva portato Teodora Costanza in convento, iniziarono a soggiornare sempre<br />

meno, e come educande per brevi perio<strong>di</strong>, in istituti religiosi 322 . Tale<br />

“inversione <strong>di</strong> tendenza” seguì ad un periodo <strong>di</strong> fortissime monacazioni<br />

avvenute tra le componenti <strong>del</strong>la casa <strong>di</strong> Martina. Tra la seconda metà <strong>del</strong><br />

Seicento e il primissimo Settecento ben sei fanciulle in tre generazioni<br />

<strong>di</strong>vennero monache, a fronte <strong>di</strong> sole due nelle sei generazioni precedenti. Tra i<br />

Mastrogiu<strong>di</strong>ce e i Ceva Grimal<strong>di</strong> accadde lo stesso: se, infatti, consideriamo che<br />

il numero dei componenti <strong>del</strong> ramo molisano <strong>del</strong> casato era <strong>di</strong> molto inferiore<br />

rispetto a quello dei Caracciolo, possiamo affermare che in percentuale la<br />

320<br />

ASCB, Protocolli notarili, piazza <strong>di</strong> Sant’Elia a Pianisi, Notaio Falcone Pietro, 1741, f. 47v.<br />

321<br />

Ivi, 1741, f. 47v.<br />

322<br />

E. Papagna, Sogni e bisogni <strong>di</strong> una famiglia aristocratica, cit., p. 107.<br />

139

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