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Dipartimento di - Università degli Studi del Molise

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l’evoluzione stessa <strong>del</strong>la storia sociale <strong>del</strong>la nobiltà non si comprenderebbe a<br />

pieno senza considerare proprio la valenza <strong>di</strong> tale peso 149 .<br />

Antica <strong>di</strong>sposizione <strong>del</strong> <strong>di</strong>ritto successorio con cui il testatore imponeva<br />

all’erede <strong>di</strong> conservare e trasmettere ai <strong>di</strong>scendenti il patrimonio ere<strong>di</strong>tario, tale<br />

pratica può essere considerata un in<strong>di</strong>catore significativo <strong>del</strong>la coscienza che la<br />

famiglia aveva <strong>del</strong>la propria identità e, generalmente, veniva imposto solo dopo<br />

che la stessa aveva già adottato la primogenitura. L’unico atto decisionale era<br />

quello <strong>del</strong> fondatore <strong>del</strong> fedecommesso: gli ere<strong>di</strong> non erano che usufruttuari dei<br />

beni che dovevano restituire a coloro che sarebbero venuti. Nella prima metà <strong>del</strong><br />

Cinquecento la nobiltà meri<strong>di</strong>onale fece ricorso in maniera molto limitata al<br />

fedecommesso, la cui istituzione per i beni feudali esigeva l’assenso regio. Ciò<br />

era stato riba<strong>di</strong>to dalla Prammatica <strong>del</strong> 1531, anche se il controllo che il potere<br />

monarchico pretendeva <strong>di</strong> esercitare sulla <strong>di</strong>stribuzione <strong>del</strong>le terre feudali era in<br />

aperta opposizione con il principio che era alla base <strong>del</strong>l’istituto 150 . L’estenzione<br />

<strong>del</strong> fedecommesso ai beni feudali <strong>di</strong>venne, successivamente, una scelta talmente<br />

determinante nella storia <strong>del</strong>la famiglia aristocratica da non poter essere più<br />

ignorata soprattutto da quando, con la Prammatica <strong>del</strong> 1655, Filippo IV<br />

autorizzò la fondazione dei maggiorati sui feu<strong>di</strong> fino al IV grado incluso 151 .<br />

Le donne, generalmente, erano escluse dagli schemi <strong>di</strong> successione basati sul<br />

fedecommesso e l’unica deroga prevista era legata all’ipotesi in cui il<br />

matrimonio avesse prodotto l’estinzione <strong>del</strong>la <strong>di</strong>scendenza maschile <strong>di</strong> tutte le<br />

linee nominate nell’atto <strong>di</strong> istituzione <strong>del</strong> vincolo. Inoltre, a tale istituto non si<br />

faceva ricorso solo per rafforzare il primogenito, ma anche per far usufruire i<br />

cadetti <strong>di</strong> quei privilegi altrimenti riservati ai fratelli maggiori. È per questo che<br />

la maggior parte <strong>del</strong>le famiglie nobiliari aveva istituito almeno un<br />

fedecommesso 152 . E, infatti, anche i Mastrogiuduce nel 1699 vi avevano fatto<br />

ricorso. In quell’occasione la struttura <strong>del</strong> fedecommesso rispondeva ad una<br />

precisa logica <strong>di</strong> Don Luigi, che ne era stato il fondatore, e che prevedeva una<br />

secoli XVII e XVIII, Roma, Viella, 1999. Per la più recente tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> si rimanda agli<br />

Atti, <strong>di</strong> prossima uscita, <strong>del</strong> Convegno Fedecommesso e meccanismi <strong>di</strong> conservazione dei<br />

patrimoni, École française de Rome, <strong>Università</strong> Cà Foscari <strong>di</strong> Venezia, (Venezia, 1-2 ottobre<br />

2010).<br />

149<br />

A tal proposito un’ampia e utilissima casistica in merito all’ adozione <strong>di</strong> schemi successori<br />

basati sul fedecommesso e attuati da famiglie nobili <strong>del</strong> Regno <strong>di</strong> Napoli in età moderna è<br />

presente in M. A. Visceglia, Linee per uno stu<strong>di</strong>o unitario dei testamenti e dei contratti<br />

matrimoniali, cit., pp. 393-470.<br />

150<br />

Ivi, p. 419.<br />

151<br />

Ivi, p. 425.<br />

152<br />

M. Carnevale, Fedecommesso (<strong>di</strong>ritto interme<strong>di</strong>o), cit., pp. 54 - 55.<br />

60

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