Dipartimento di - Università degli Studi del Molise

scacchiera di gioco basata su fitte reti di relazioni. Per l’intreccio di legami
matrimoniali con altre famiglie si assisteva, infatti, a una dilatazione delle
alleanze e delle reti di solidarietà presenti all’interno di ciascun monastero 333 .
Le monache di casa Ceva Grimaldi fecero la loro parte nell’ambito della politica
di acrescimento del prestigio del casato, sostenendo la carriera delle loro
congiunte ed il perpetuarsi, nell’ambito dell’ambiente monastico, di una rete di
potere. Tale rete doveva essere, infatti, già abbastanza fitta quando Sinforosa
Mastrogiudice, nel delineare i destini dei quattro figli, scelse proprio S.
Francesco dell’Osservanza quale luogo utile ad ospitare l’educandato e la
monacazione delle due figlie Beatrice e Giulia.
La consuetudine voleva che nei monasteri facessero ingresso due o più
sorelle nello stesso anno, o addirittura nello stesso giorno. Giulia, e sua sorella
minore Beatrice Ceva Grimaldi entrarono, infatti, in S. Francesco il 2 gennaio
1714 per svolgere il periodo di educandato. Il 15 novembre 1720 Giulia prese
l’abito di novizia corista, per diventare, il 14 dicembre dell’anno successivo,
monaca con il nome di suor Maria Diodata Ceva Grimaldi 334 . Beatrice, invece,
divenne novizia il 16 novembre 1720, e monaca il 14 dicembre del 1721, con il
nome di suor Maria Silvana Ceva Grimaldi 335 . Entrambe, nell’unico momento
della loro vita monastica che le vide separate nell’ambito di una ritualità distinta
legata al momento dell’inizio del noviziato, dichiararono:
di mia libera e spontanea volontà mi voglio far monaca nel
monastero di San Francesco dell’Osservanza di questa città, e per pigliar
l’abito di monaca corista novizia mi contento di farmi tagliar i capelli con
tutte le cerimonie solite, far il noviziato, e come novizia osservar
ubbidienza, povertà, castità, alla Regola di San Francesco la quale si
osserva dalle monache del detto monastero 336 .
Sia per Giulia che per Beatrice, Sinforosa aveva provveduto a corrisponedere
la somma utile al cosiddetto “semestre di mantenimento”, che la consuetudine
voleva dovesse essere versata all’atto dell’entrata in convento da parte delle
educande.
333 E. Novi Chavarria, Monache e gentildonne, cit., p. 141. A tal proposito si veda, inoltre, G.
Zarri, La memoria di lei. Storia delle donne, storia di genere, Torino, Società editrice
internazionale, 1996; G. Galasso, A. Valerio, Donne e religione a Napoli, cit.
334 ASDN, Vicario delle monache, S. Francesco dell’Osservanza, b. 84-A, fasc. 236, f. n.n.
335 Ivi, fasc. 237, f. n.n.
336 Ivi, f. n.n.
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