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SteveGraziani_Troppi Clienti per un Negro - descrittiva

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§ Capitolo 39MercoledìRimanere disteso sul letto <strong>per</strong> il trombo l’avevo anche fatto, le iniezioni pure, maera mercoledì e avevo <strong>un</strong> app<strong>un</strong>tamento con Paul Drake.Se il trombo decideva di navigare fino al cervello o ai polmoni erano guai seri,diceva Anna, ma altri guai seri mi cercavano <strong>per</strong> uccidermi.Via Conte Verde era quasi deserta quando cominciai ad arrancare verso la fermata dipiazza Vittorio della metro.Mi guardavo in giro anche <strong>per</strong> localizzare qualche mucchio di stracci con Mimma eil mio anello dentro, ma lì non vidi niente e neanche a Termini, l<strong>un</strong>go tutto il tragittonel sottosuolo che mi portava a raggi<strong>un</strong>gere la metro B, direzione Laurentina. Lasituazione dei cartelli non era migliorata e la gamba mi diceva che dovevoassolutamente essere geniale o chiedere se volevo venirne a capo.Non riuscii a sedermi e mi appoggiai ai tubi di sostegno accanto alla porta, <strong>per</strong> tuttoil tragitto fino alla fermata Eur Palasport.Camminare mi rifaceva molto male ma la fermata del 777 era vicina.Ero <strong>un</strong> po’ incerto sulla direzione e provai Beata Vergine, che mi concesse la grazia.Dopo <strong>un</strong>a decina di fermate ero arrivato ma a piazza Azolino Hazon non c’eraness<strong>un</strong>o. Ero in ritardo di <strong>un</strong> quarto d’ora ma i patti erano di aspettarmi due ore.Non aveva informazioni evidentemente.Mangiai qualcosa al bar, <strong>un</strong>a pizza romana alla mortadella riscaldata alla piastra e<strong>un</strong> Peroncino, poi cornetto salato e cappuccino al ginseng, tanto <strong>per</strong> non sprecarel’uscita, poi mi rimisi in viaggio <strong>per</strong> la pensione Stanton. Ne avrei approfittatoanche <strong>per</strong> rifornirmi di medicine e vettovaglie che era possibile conservare fuori delfrigorifero. Desideravo la bottarga in particolare..Le iniezioni mi venivano meglio, ormai, quasi ness<strong>un</strong> livido. E poi ti avrei scritto.Caro Carlo,a scuola ti consideravo l’uomo sicuro di se stesso, volentieri cinico, in lotta controgli incolpevoli compagni dipendenti dell'onanismo, ma eri anche <strong>un</strong> ragazzo timido,vulnerabile, sensibile, che aveva problemi in famiglia, col padre e la salute dellamadre (sempre cancro mi ricordo). Non eri razzista, anzi mi avevi preso al riguardosotto la tua protezione; eri, <strong>per</strong> la religione <strong>un</strong> po' fondamentalista, ricordo cheincidevi con Binello frasi del vangelo sul tuo banco e che in <strong>un</strong> giorno di scio<strong>per</strong>o tispostasti sul banco di Monzo e, lavorando come <strong>un</strong> pazzo, incidesti anche quello. Ilgioo dopo lo aiutai a sostituirlo con <strong>un</strong> banco agnostico.Sentivi profondamente la tua religione di cattocom<strong>un</strong>ista e le tue credenzeideologiche e di difesa e volevi com<strong>un</strong>icarle agli altri. Mi ricordo che ti seiesercitato fin da allora, dall’adolescenza a controllare sempre la situazione, anchequando era incontrollabile e da scritore di gialli hai acquisito <strong>un</strong>a straordinariaabilità artigianale e ti sei messo in mente di predicare, nascostamente, attraverso ituoi libri che, senza aver successo economico, sono letti da <strong>un</strong> sacco di gente.La verosimiglianza, dicevi, la inventano i giornalisti e i documentari; il giallo è

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