Segue la classificazione di Le Guern I • ORDINE ... - maria vita romeo
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Gli esempi si fanno per provare altre cose, ma se si volessero provare gli esempi,<br />
toccherebbe alle cose fare da esempi. Perché, dal momento che si crede sempre<br />
che <strong>la</strong> <strong>di</strong>fficoltà stia in ciò che si vuole provare, si trovano gli esempi più chiari e<br />
facili per <strong>la</strong> <strong>di</strong>mostrazione.<br />
Così, quando si vuole <strong>di</strong>mostrare una cosa generale, bisogna darne <strong>la</strong> rego<strong>la</strong><br />
partico<strong>la</strong>re per un caso, ma se si vuole <strong>di</strong>mostrare un caso partico<strong>la</strong>re, bisognerà<br />
cominciare dal<strong>la</strong> rego<strong>la</strong> [generale]. Perché si trova sempre oscura <strong>la</strong> cosa che si<br />
vuole provare e chiara quel<strong>la</strong> che si impiega nel<strong>la</strong> prova, infatti quando si propone<br />
una cosa da provare, s'incomincia con l'idea che sia oscura, mentre al contrario<br />
quel<strong>la</strong> che <strong>la</strong> deve provare deve essere chiara, e così <strong>la</strong> si capisce facilmente.<br />
Mi sono trovato male con questi complimenti: «Vi ho dato <strong>di</strong>sturbo», «temo <strong>di</strong><br />
annoiarvi», «ho paura che ciò sia troppo lungo». O ci convincono o ci irritano.<br />
Com'è <strong>di</strong>fficile proporre una cosa al giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> un altro senza alterare il suo<br />
giu<strong>di</strong>zio tramite il modo <strong>di</strong> proporglie<strong>la</strong>! Se si <strong>di</strong>ce: «lo trovo bello», «lo trovo<br />
oscuro», o altre cose simili, o s'inclina l'immaginazione verso questo giu<strong>di</strong>zio, o <strong>la</strong><br />
si eccita verso il contrario. È meglio non <strong>di</strong>re niente e così ognuno giu<strong>di</strong>ca<br />
secondo se stesso, cioè secondo quello che è allora, e secondo quello che vi<br />
avranno messo le altre circostanze <strong>di</strong> cui non siamo responsabili. Ma almeno non<br />
vi avremo messo niente <strong>di</strong> nostro, a meno che anche il silenzio non abbia le sue<br />
conseguenze, secondo il modo e l'interpretazione che l'altro vorrà dargli, o<br />
secondo le congetture che trarrà dai movimenti del volto o dal tono del<strong>la</strong> voce, se<br />
sarà fisionomista, a tal punto è <strong>di</strong>fficile non esprimere un giu<strong>di</strong>zio con il proprio<br />
aspetto naturale, o piuttosto, così pochi ce n'è <strong>di</strong> fermi e stabili.<br />
470<br />
Ogni nostro ragionamento si riduce a cedere alle opinioni.<br />
Ma l'immaginazione è simile e contraria alle opinioni; così che non si può<br />
<strong>di</strong>stinguere tra questi contrari. Uno <strong>di</strong>ce che <strong>la</strong> mia opinione è immaginazione,<br />
l'altro che <strong>la</strong> sua immaginazione è opinione. Ci vorrebbe una rego<strong>la</strong>. La ragione si<br />
offre, ma può essere piegata in tutte le <strong>di</strong>rezioni.<br />
E così non ce n'è.<br />
471<br />
<strong>Le</strong> cose a cui teniamo <strong>di</strong> più, come nascondere <strong>la</strong> nostra poca ricchezza, spesso<br />
non sono niente. Un niente che l'immaginazione fa <strong>di</strong>ventare una montagna;<br />
basta un altro po' d'immaginazione per farcelo capire senza fatica.<br />
472<br />
Princìpi.