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Un’odissea de rimas nobas 155<br />

dopo aver gravitato nell’orbita delle repubbliche marinare, di<br />

Pisa prima, fino alla battaglia della Meloria, e poi di Genova,<br />

era entrato a far parte dei regni iberici della Confederazione<br />

dei Regni di Aragona prima e di Aragona e di Castiglia poi.<br />

La lingua dei giudicati era un volgare romanzo, quello sardo<br />

appunto, molto simile al latino, quello di cui parla Dante<br />

nel De vulgari eloquentia. La produzione e la circolazione letteraria<br />

in <strong>Sardegna</strong> è stata perciò sempre in lingua sarda e al<br />

tempo stesso sempre in più lingue. Gli umanisti sardi impiegano<br />

il latino, il catalano, lo spagnolo e l’italiano. Sostanzialmente<br />

perciò l’orbita in cui gravita la <strong>Sardegna</strong> è quella dei regni<br />

iberici, prima quella di Barcellona e poi quella di Madrid.<br />

Ancora nel 1820, a cento anni dall’arrivo dei Savoia e dei Piemontesi,<br />

le riunioni delle Comunidad vengono verbalizzate in<br />

lingua castigliana. Le lingue impiegate nell’Isola pertanto sono<br />

almeno quattro e talora cinque: sempre la lingua sarda, usata<br />

dal popolo, il latino dei dotti, il catalano prima e il castigliano<br />

poi, spesso il francese degli illuministi e della corte degli stessi<br />

Savoia, l’italiano infine, promosso insieme al sardo, dalla monarchia<br />

sabauda che adotta un inno nazionale in lingua sarda,<br />

Cunservet Deus su Re, fino al Referendum repubblicano. I Savoia<br />

favoriscono strategicamente una politica linguistica sardoitaliana,<br />

sia per rafforzare il rapporto col popolo che parlava<br />

esclusivamente il sardo, sia per promuovere l’uso dell’italiano<br />

perché potesse progressivamente sostituire l’uso generalizzato<br />

del castigliano nelle scuole e negli uffici. Ciò fino al ventennio<br />

fascista quando venne attuata una massiccia e rigida politica di

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