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216<br />

NICOLA TANDA<br />

no. Il processo di inculturazione che ha portato all’affermarsi<br />

delle lingue nazionali nel secolo scorso ha messo in crisi queste<br />

lingue e questi saperi; e se il linguista, il dialettologo e il filologo,<br />

non le avessero studiate e fissate, il danno sarebbe stato enorme.<br />

In Italia il processo è stato poi ancora più forte e rapido, poiché<br />

solo sulla letteratura, che era poi il risultato di varie e distinte<br />

letterature, si poteva costruire una storia di nazione.<br />

Si parla perciò sempre più spesso dell’esigenza di ridefinire<br />

l’identità della letteratura italiana e si è giunti alla conclusione<br />

che è più corretto accedere ad un modello storiografico che<br />

decide per la «letteratura degli italiani» che non per quello che<br />

decide per la «letteratura italiana». In questi modi riesce più<br />

agevole rendere conto, in un quadro unitario, delle letterature<br />

delle varie regioni dal punti di vista storico geografico e linguistico.<br />

De Sanctis aveva concepito infatti la sua Storia della letteratura<br />

italiana su un presupposto teorico unificante di matrice<br />

hegeliana che non ammetteva le differenze e che tendeva<br />

a ridurre la complessità e le diversità delle varie letterature regionali<br />

e a superare la frammentazione delle storie letterarie<br />

erudite settecentesche. Quell’operazione, determinante e produttiva<br />

allora, tanto da attraversare indenne la concezione estetica<br />

crociana e quella idealmarxista successiva, appare oggi poco<br />

proponibile. Quel modello, o quei modelli, hanno prodotto una<br />

deriva elitaria che certo non ha giovato alla diffusione capillare<br />

della cultura e quindi della vita democratica della nazione ed è<br />

responsabile di quegli stessi effetti che Gramsci, per bocca di<br />

Ruggero Bonghi, stigmatizzava quando si poneva il problema

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