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NICOLA TANDA
senta tuttora, a distanza di trenta anni, un tentativo di integrare
i nuovi metodi per rileggere il Novecento. Per questo ebbe
straordinario successo di critica anche se trovò scarsa udienza
presso i docenti della scuola media superiore. Si proponeva infatti
di insegnare a leggere i testi letterari (Proposte di lettura),
rinunziando alla quantità dell’informazione per privilegiare la
qualità della lettura critica basata sulla consapevolezza del fenomeno
letterario e della sua funzione sociale. L’Introduzione
alla letteratura del Novecento che la precedeva apriva inoltre
prospettive insieme critiche e didattiche nuove, mentre la presentazione
e il commento dei testi riassumevano la storia della
critica e introducevano e sollecitavano nuove interpretazioni.
Narratori di Sardegna (Mursia, Milano, 1965), firmato da
Giuseppe Dessì e da me, si muoveva già in questa direzione.
Faceva parte di una collana dell’editore Mursia dedicata alla
letteratura di tutte le regioni italiane tra Otto e Novecento e
già poneva il problema del bilinguismo con la sua Appendice di
poeti in lingua sarda e delineava il canone della storiografia
letteraria in Sardegna. Il mio successivo volume, Letteratura e
lingue in Sardegna (Sassari, Edes, 1984) infine, a distanza di
anni, faceva il punto su questa situazione e segnava una svolta
negli studi sulla produzione letteraria locale, almeno nell’Isola.
Il nodo era rappresentato dal problema della lingua e della cultura
sarda nei confronti della storia letteraria nazionale. Le
nuove categorie concettuali che venivano introdotte riguardavano
il concetto di geografia della letteratura e quello di letterarietà
considerata come invariante rispetto alla variabile lin-