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208<br />
NICOLA TANDA<br />
l’insieme delle lingue sarde o varietà o dialetti che dir si voglia,<br />
perché possa essere usata dall’Amministrazione.<br />
E la Commissione, “considerando tutte le varianti come un<br />
unico insieme composto di diversi dialetti con pari vitalità e dignità,<br />
base viva dell’esistenza e sopravvivenza della lingua stessa,<br />
passata e presente”, ha stabilito, dopo alcune altre considerazioni,<br />
“le indicazioni del modello di riferimento chiamato Limba<br />
sarda unificada, da considerare come matrice comune a tutti per<br />
quanto riguarda la morfologia, la fonetica, il lessico (patrimoniale<br />
acquisito), la sintassi, l’ortografia. Ben sapendo che a tale sistema<br />
potranno essere apportati emendamenti, migliorie, aggiunte,<br />
aggiustamenti”. Come è evidente si tratta di indicazioni<br />
che intendono dare inizio ad un processo di unificazione di<br />
cui protagonisti non possono che essere coloro che intendono<br />
impiegare la lingua sarda nell’uso scritto e parlato per i rapporti<br />
di tipo pubblico. Poiché chi intende fare un uso letterario<br />
della lingua sarda può utilizzare la sua lingua materna, e cioè<br />
quella varietà nella quale il suo vissuto si è linguisticamente e<br />
antropologicamente strutturato. Niente di diverso quindi da<br />
quel che il ministro Broglio, dopo l’Unità, aveva chiesto a una<br />
commissione presieduta dal Manzoni: una relazione sul problema<br />
di quello che veniva chiamato “l’italiano comune” e che<br />
ha prodotto la norma italiana. Una norma che, dal punto di<br />
vista rigorosamente linguistico, è stata giustamente contestata<br />
dall’Ascoli, ma che tuttavia veniva affermata dal punto di vista<br />
della politica linguistica e per ragioni che erano eminentemente<br />
politiche. È un’esigenza che, come è avvenuto per l’italiano,