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NICOLA TANDA
riferisce che, secondo Dostoevskij, non può esserci il bene senza
il male, poiché sono due facce della medesima medaglia. Un
discorso profondo e conseguente che è alla base di tutti i romanzi
della Deledda. La sua ‘onestà’ di scrittrice che non si
sottrae all’impegno di affrontare i problemi essenziali
dell’esistenza, è stata riconosciuta e sottolineata da Carlo Bo
nella prolusione al Convegno deleddiano del 1988, a Roma.
La posizione della Deledda è, d’altra parte, radicale e analoga a
quella che sull’uomo e sulla civiltà mostravano contemporaneamente
gli artisti della Secessione che avevano compreso come
la macchina del progresso positivista conduca in un vicolo cieco,
poiché non migliora la convivenza che si basa su rapporti
intersoggettivi. Gli artisti della Secessione quindi, da Gauguin
a Van Gogh a Matisse segnano una cesura forte con il Naturalismo
e introducono una nuova cultura e insieme un nuovo
linguaggio, nuovi significati e quindi nuovi significanti.
Certamente l’eclisse della Deledda, dipende dalla incomprensione
del ruolo che essa ha avuto nei primi anni del Novecento,
e soprattutto dipende dal ritardo con cui gli studiosi di
letteratura italiana si sono aperti alla comprensione del Decadentismo.
Ogni rilettura della sua opera che, nell’approccio
critico, prescinda da questi presupposti risulta improduttivo.
Non è un caso che scrittori come la Deledda, Pirandello, Tozzi
e Svevo si siano fatti largo a stento presso i critici e il pubblico
e anche quando sono stati accolti non sono stati interpretati in
maniera corretta. La scrittrice nuorese, che è scomparsa dai
manuali, ad esempio, viene collocata insieme a Matilde Serao