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NICOLA TANDA
mento della lingua letteraria sarda alla lingua letteraria italiana
e viceversa. Già la narrativa in lingua italiana aveva dovuto tenere
conto dell’interferenza dei codici, verbali e non verbali,
soggiacenti. Il problema era affiorato in periodo verista e aveva
determinato un orientamento culturale verso l’esterno e di integrazione
nella cultura del nuovo stato nazionale italiano. Un
orientamento che era legittimato dalle lotte risorgimentali, ma
che, durante e dopo il primo conflitto mondiale, aveva coinvolto
tutte le popolazioni e aveva prodotto una presa di coscienza
e un ritorno alla propria appartenenza e alla propria
identità.
Protagonista della narrativa non solo sarda del primo cinquantennio
del Novecento, era stata Grazia Deledda che, proprio
tra le due guerre, nel 1926, aveva raggiunto il traguardo
del Nobel. Il suo modello narrativo, che in un primo momento
era apparso agli scrittori sardi, suoi contemporanei, congeniale,
in realtà era però difficilmente imitabile e ripetibile. La
sua rappresentazione dell’Isola è infatti il risultato di una visione
estetica ed antropologica maturata nell’ambito della cultura
europea della Secessione. A Roma si era formata infatti a
contatto con artisti, più che con letterati, e con lo sguardo rivolto
ai grandi modelli della letteratura straniera, senza però
mai perdere di vista il rapporto e il confronto con il proprio
automodello culturale. Un’analoga cultura non sorreggeva certamente
gli altri scrittori che in Sardegna si affermano subito
dopo il primo conflitto mondiale. Questi trovano il loro punto
di riferimento ideale nel nascente movimento sardista e nella