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NICOLA TANDA<br />
una espressività nuova ed originale. Un fenomeno che si configura,<br />
a mio avviso, come un vero e proprio rinnovamento sia<br />
del codice linguistico che di quello narrativo. Come è il caso<br />
appunto della crescente pratica del bilinguismo letterario in<br />
<strong>Sardegna</strong>. Ma è opportuno, a questo punto, anticipare alcune<br />
doverose premesse.<br />
La lingua sarda è, come è noto, una lingua neolatina che è<br />
stata impiegata nell’uso scritto dalle cancellerie giudicali assai<br />
prima del volgare italiano. Il suo impiego letterario è però testimoniato<br />
nella seconda metà del millequattrocento dal poema<br />
di Antonio Cano, Sa vitta et sa morte, et passione de Sanctu<br />
Gavinu, Prothu et Januariu, la cui edizione risale al 1557. La<br />
comunicazione letteraria, quella poetica orale, tuttavia, aveva<br />
già, in <strong>Sardegna</strong>, una sua stabilità ed era probabilmente attiva<br />
su modelli di canto amebeo che l’ottava di derivazione volgare<br />
e romanza aveva consolidato. L’impiego letterario della lingua<br />
sarda, comunque, orale e scritta, si può considerare ampiamente<br />
testimoniato in periodo moderno. Anzi, la produzione<br />
poetica, a contatto col catalano, col castigliano, con le frequentazioni<br />
umanistiche latine e italiane, si moltiplica in varia maniera<br />
in queste diverse lingue e tuttavia permane costante e<br />
stabile in lingua sarda. Non si conoscono invece che pochi<br />
frammenti di prosa letteraria sarda scritta, se non all’interno di<br />
testi di altra natura, come i condaghes, mentre abbondano i testi<br />
poetici e modeste trattazioni di divulgazione sanitaria nelle<br />
due varietà più diffuse, logudorese e campidanese, pubblicate<br />
dalla stessa Stamperia Reale di Cagliari tra Sette e Ottocento.