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NICOLA TANDA
to mai molta visibilità. Intanto perché considerate marginali e
subalterne, e perciò confinate, anche quando erano di media e
alta qualità, presso editori poco conosciuti o mal distribuiti. La
pratica egemonica dell’estetica assoluta di matrice idealistica non
ha mai concesso spazio a questa produzione, forse a causa del
carattere nazionalistico e fortemente centralizzato ed esclusivo
del sistema letterario che penalizza le aree periferiche.
La poesia è, come è noto, canto, e il canto è voce, e la voce
è innanzitutto lingua. Perciò il problema della lingua è alla radice
stessa della poesia e della letteratura che trae sostanza dal
vissuto individuale e sociale. Infatti viene acquistando sempre
più rilievo e importanza il problema della lingua materna o
della prima lingua. Noi tutti sappiamo come siano state difficili
e tormentate le tappe della lingua italiana come lingua nazionale.
Ne conosciamo l’iniziale difficoltà nell’esprimere il
vissuto e l’impegno degli scrittori post-romantici per avvicinarla
alla sensibilità e ai modi della vita quotidiana.
Esemplare può essere, sotto questo profilo, la vicenda di Salvator
Ruju che aveva esordito giovanissimo con una raccolta di
versi, A vent’anni (1898), e continuato con un poemetto, Palmira
(1899), cui aveva fatto seguito il Canto di Ichnusa (1902). Nel
poemetto, L’eroe cieco (1919), infine, che intendeva compendiare
l’eroismo della “Brigata Sassari”, esprimeva un passato intriso
di memoria visiva, di paesaggi, di eventi rivissuti con un linguaggio
poetico percorso soprattutto dall’esperienza dannunziana
e pascoliana e dalla sua straordinaria capacità di dare modo al
ritmo, alla sintassi, al lessico di aderire alle sensazioni ma,