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NICOLA TANDA
sione europea che avevano trasmigrato dall’Europa poiché trovavano
insopportabile la Parigi già tormentata dai problemi e
dalle afflizioni di una metropoli già industriale nella quale, a
loro avviso, era impossibile ogni forma di felicità dal momento
che il rapporto uomo natura appariva scompensato in maniera
insostenibile. Aveva avuto inizio proprio allora la fuga verso i
mari del Sud. Il viaggio di Gauguin a Thaiti aveva aperto la
strada a tanti artisti e poeti per ritornare alle origini e porsi il
problema della sopravvivenza dell’uomo nel pianeta, il problema
del significato della vita e delle emozioni e quindi del
corpo come valore, come organismo davvero essenziale dell’esistenza.
Era il declino del mito positivista del progresso come percorso
rettilineo e senza sosta verso un traguardo che avrebbe
segnato una maggiore divaricazione tra cultura e natura. E soprattutto
gli artisti, gli scrittori e i poeti avevano coscienza che
quella divaricazione poteva risolversi in una ribellione della
natura e degli uomini e in una tragedia per l’umanità.
Il sogno del resto non era nuovo. Era stato portato all’attenzione
degli europei dalle relazioni che i missionari, partiti
per evangelizzare il nuovo mondo, mandavano alle loro case
generalizie per rendere conto delle condizioni di vita degli indigeni,
fossero essi della Nuova Caledonia, del nuovo Messico
o dell’Amazonia.
Era un’apertura verso la diversità culturale che poneva in
termini nuovi il problema, soprattutto nel Settecento, quando
la struttura della ricezione culturale era orientata piuttosto dal-