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Un’odissea de rimas nobas 159<br />
nell’insieme, ancora con risultati parziali. Nella sua lunga e operosa<br />
esistenza tuttavia l’origine tutta contadina e sassarese di Salvator<br />
Ruju aveva finito per prevalere sulla sua precedente esperienza<br />
colta in una lingua di inappartenenza come quella italiana,<br />
inducendo l’amico del mai dimenticato Pompeo Calvia a<br />
ritrovare, impiegando la varietà sassarese del sardo, un rapporto<br />
più autentico e vibrante con il suo “popolo” e con le sue radici.<br />
La raccolta, Agnireddu e Rosina, del 1956 (Agniru Canu è stato<br />
lo pseudonimo usato per il suo alter ego dialettale) si colloca<br />
nell’ambito della lirica amorosa e ci dà la misura della sua capacità<br />
di modulare il sassarese letterario fino ad ottenere risultati di<br />
una straordinaria finezza. Nella raccolta successiva, Sassari veccia<br />
noba (1957), aveva rievocato una Sassari di estrazione contadina<br />
che mal si adattava al divenire storico. Le date di questi due testi<br />
in sassarese (1956 e 1957) sono però già significative del clima di<br />
ripresa che la poesia dialettale ha conosciuto in Italia e in <strong>Sardegna</strong><br />
nel secondo dopoguerra.<br />
Molti degli autori infatti che troviamo attivi nella seconda<br />
metà del secolo appartengono alla generazione nata nel primo<br />
decennio del Novecento e cresciuti nel ventennio. Essa comprende<br />
numerosi autori che non intravedevano alternative allo<br />
scrivere in italiano e che sono rimasti tuttavia ai margini delle<br />
correnti poetiche contemporanee, anche quando hanno guadagnato<br />
posizioni di rilievo pubblicando presso editori esterni<br />
di prestigio.<br />
Nel gusto della poesia del primo novecento rientra certamente<br />
l’opera poetica di Pietro Mazza (Pattada 1896 - Sassari