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La città interetnica - libertacivili.it

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Condividere il mondo: l’ab<strong>it</strong>are come via per l’interculturaContro i rischi delle divisioniartificiali e del mancatoriconoscimento dell’Altro,va riabil<strong>it</strong>ata la categoria del“comune”, un bene condivisodi cui tutti sono corresponsabiliuscire con ricette calate dall’alto, con soluzioni ist<strong>it</strong>uzionali,che pure sono importanti, ma non cambiano le mental<strong>it</strong>à. Solocon un cambiamento di postura è possibile immaginare soluzionialla crisi e alle questioni complesse che ci interpellano.Un primo cambiamento a mio avviso necessario e urgenteriguarda la consapevolezza e il necessario abbandono di unaseparazione artificiale e ideologica tra pubblico e privato,individuo e società, che autorizza anche una scissione, assurdaquanto deleteria, tra la faccia pubblica e quella privata dellostesso sé, oltre a incoraggiare un atteggiamento di deresponsabilizzazione,come se spettasse ad altri affrontare e risolverele questioni pubbliche. Credo che sia venuto ilmomento di riabil<strong>it</strong>are seriamente la categoriadel “comune”, un bene condiviso di cui tuttisono corresponsabili, e che coinvolge leindividual<strong>it</strong>à in senso pieno superando lalogica autoreferenziale degli individualismi.<strong>La</strong> c<strong>it</strong>tà è uno straordinario laboratorio inquesto senso: soprattutto la c<strong>it</strong>tà <strong>it</strong>aliana,che è costru<strong>it</strong>a intorno a un senso (religiosoe laico) più che a uno scopo, e che è pensata a misura d’uomo,di una social<strong>it</strong>à fatta anche di incroci e incontri, resi possibilida spazi percorribili a piedi e da distanze ragionevoli, da luoghiprivilegiati come le piazze e da articolazioni terr<strong>it</strong>oriali vivibili,come i quartieri nelle c<strong>it</strong>tà più grandi. Ma al di là degli aspettiche ne definiscono la configurazione, la c<strong>it</strong>tà rischia di riprodurreoggi quelle divisioni artificiali che generano effetti di ottus<strong>it</strong>àculturale, oltre che di disumanizzazione: una contigu<strong>it</strong>àdisconnessa, una invisibilizzazione e un mancato riconoscimentodelle persone portatrici di istanze culturali altre, che rischianon solo di sciupare un’opportun<strong>it</strong>à straordinaria per quantoimpegnativa, ma anche di creare una s<strong>it</strong>uazione di risentimentocelato che può esplodere nei modi più distruttivi.Va benissimo pensare i corsi per gli immigrati, appoggiarele loro richieste di luoghi di culto e tollerare benevolmente laloro presenza nelle classi dei nostri figli, ma è possibile, comec<strong>it</strong>tadini di un mondo ormai globale, offrire un contributomolto più attivo alla costruzione di una c<strong>it</strong>tà interculturale, chenon sia né frutto di una pianificazione astratta, né il risultatocasuale di processi di cui nessuno è alla fine responsabile ei cui es<strong>it</strong>i non possono che essere quantomeno deludenti.Quello che il presente ci richiede è uno sforzo di immaginazioneesistenziale e relazionale.Primo Pianolibertàcivili2011 luglio-agosto47

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