E domani - Anna Lussignoli

eva caldo nelle vene e il vento sbriciolava le punte dei capelli di lei.
Ci ritrovammo a fare una passeggiata insieme. Poco dopo gustavo le
stampe in bianco e nero appese nel suo appartamento: una ballerina
voltata di spalle vicino ad un pianoforte.
“Sono io quella. O meglio, vorrei essere io. Con la simmetria del
busto e le luci puntate solo su di me”.
Lei parlava e io bevevo latte dalla tazza con cui lei faceva colazione.
Confondevamo i nostri ritagli di mondo. C’interrogavamo sui nostri
quadri interiori. M’inteneriva la ruga che circondava le labbra di Melory.
Si chiamava Melory e veniva da Amsterdam. Aveva un aspetto
nordico e freddo, eppure mi sorrideva. Mi parlava nell’orecchio e
vibravo per il sottile fruscio che muoveva il profumo di sandalo di
cui le sue stanze erano avvolte. Raccontava di Amsterdam e Venezia,
degli orari, degli aerei, del tempo da vivere.
Però ricordo che dovetti andare. Non la salutai. Ricordo che cercai
di giustificare il bacio non dato ai suoi occhi verdi: riappropriarmi
del mio tempo. Dimenticai il mio braccialetto a casa sua. Le chiesi
senza dire alcuna parola di non cercarmi, di perdonarmi.
Lei poteva perdonarmi, perché dovevo muovermi ed andarmene in
fretta. Dovevo dimenticare ed essere veloce. Appartenevo al traffico
ed al grigio rumore della città, avevo impegni e responsabilità. La
pregai di capirmi e di perdonarmi. Non c’era stato tempo allora. Per
noi. Allora dovevo… Svegliarmi.
Il bar si stava svuotando e la sera si avvicinava.
Jam era fuori la porta. La cosa bella dell’amore è che viaggia senza
perfezioni di stile. Non ha bisogno di metrica come la poesia, ma
rimane assolutamente sensazionale. Il mio amore lo era: sensazionale
intendo, ma anche poetico allo stesso tempo. Jam appoggiato ad un
muretto che aspettava me. Fumava una sigaretta. Era sensazionale.
Non era un gran fumatore, però l’alone che lo avvolgeva allora mi
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