E domani - Anna Lussignoli

guardava attorno.
“Io mi chiamo Stanley” mi fece quello che mi aveva aiutato. Fu gentile.
Scambiammo poche parole, ma abbastanza perché lui capisse
che io ero nuova della città e non conoscevo ancora molto.
“Vuoi che ti aiuti? Mi sembri in difficoltà”.
In effetti tutta la mia spesa era a terra. Gli altri ragazzi mi ignoravano,
ma lui sembrava cortese.
“Non mi dispiacerebbe se…”
Non feci in tempo a finire la frase che lui aveva già raccolto tutto.
Continuò:
“Dove abiti?”
Gli risposi che stavo sulla Kelton. Lui mi guardò. Sospirò conscio del
fardello che si era andato a trovare e pronunciò:
“La strada da qui è tutta in salita, se vuoi ti diamo un passaggio. Noi
abitiamo al campus lì vicino, alla U.C.L.A”..
Ringraziai ed accettai il favore.
Salita in macchina odorai subito il profumo di marjuana che impregnava
la pelle dei sedili. Tenni i piedi alzati per non toccare la collezione
di bottiglie di birra vuote sui tappetini.
“Che fai stasera?” improvvisò Stanley.
Mi sovvenne la domanda che forse le mie relazioni sociali stavano
prendendo un’impennata e che dovevo coglierla.
Disse che, se mi andava di divertirmi, lui la sera sarebbe andato con
gli amici fuori, se volevo potevo andare anche io. Colsi l’occasione.
Ero intimidita, ma Giulia avrebbe lavorato fino a tardi ed io non
volevo stare davanti alla TV tutta la sera. Dissi a Stanley che sarei
andata volentieri.
La sera stessa percorsi il marciapiede fino alla piazzetta davanti la
caffetteria dell’Università e chiesi dove fosse il dormitorio di cui aveva
parlato Stanley. Lo trovai e presa la rampa di scale giunsi al quarto
piano correndo. Correre verso qualcosa o qualcuno è la parte più
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