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E domani - Anna Lussignoli

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verdi con scritto la traduzione di una poesia di Raboni. Ero stata una<br />

Miriam chiara e pulita, ma ero stata anche ripugnante e sudicia. Ero<br />

stata tutto quello che si poteva essere e questo era accaduto grazie<br />

alle finestre opache attraverso cui lo stesso sole di allora ora illuminava<br />

la collana arancione sul collo della turca. Era turca lo sapevo. La<br />

stessa luce che si propagava orizzontalmente sul mio ombelico ora<br />

circondava il braccialetto corallo di lei.<br />

Lei ad un tratto rivestiva tutti i colori, le razze e le religioni del<br />

mondo, lei rappresentava tutti i mondi che io non ero e non sarei<br />

mai stata. Lei era la luce di un mattino che mi risultava inesplorato<br />

ed inesplorabile. Non avrei avuto modo in nessun caso di capire, di<br />

condividere, di appartenere a quello che lei era. A quello che lei e<br />

Jam erano. Alla lingua che parlavano, alle canzoni che canticchiavano<br />

insieme.<br />

Il dolore, la frustrazione, la delusione si sostituirono dapprima alla<br />

rabbia, ma quando me ne andai e dopo essere scesa in strada, mi fermai<br />

ad aspettare l’autobus e rimase solo indifferenza. E quell’indifferenza<br />

era il male più grande che avessi mai provato in tutta la vita.<br />

Quel senso di continuità verso il futuro, quel mio guardare avanti,<br />

quella mia silenziosa accettazione dei fatti altro non era che una<br />

guerra che avevo perso. Altro non era che l’alito della salsedine che<br />

fuggiva via. La salsedine è amara e brucia, ma rende il mare quello<br />

che è. Il mio cuore stava diventando una radura arida e secca, che<br />

non voleva più abbeverarsi. Stavo perdendo non tanto il “se”, ma il<br />

“che cosa”. Stavo perdendo, cioè, la descrizione di me stessa, nell’attesa<br />

di un pullman che mi avrebbe ricondotto a casa in un ventilata<br />

notte di fine estate nel centro di Los Angeles.<br />

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