E domani - Anna Lussignoli

i nostri vestiti e poi le macchine, i viaggi, le case. Chi non li ha lotta
duramente tra fango ed ingiustizie per ottenerli e chi li ha con aria
supponente li considera un’ovvietà senza rilievo.
Avevo 24 anni, mi ero appena laureata, la vita mi riservava infinite
opportunità. Per me. Perché avevo studiato, così come i miei genitori
prima di me, avevo degli amici, un’accogliente casa. Perché il gelo
dell’isolamento e della fatica non lo conoscevo ancora. Non veramente.
Non ne avevo bisogno. Così allora per me era tutto scontato.
I vestiti, i libri: mai di seconda mano. Le corse sulle belle macchine,
i weekend al mare, nelle capitali europee. Tutto dovuto. Facile poi
parlare di arte, quando si aveva avuto il tempo di visitare i musei,
quando la schiena la si poteva pigramente riposare su morbidi cuscini,
magari immergendo il naso in un buon libro. Facile era poi
parlare di filosofia e letteratura annodando i piedi sotto la seggiola.
Immune a ciò che mi circondava. Ignara allora della cruda prospettiva
d’immagine che la vita mi avrebbe presto riservato. Fu in quella
stanzetta nella grande casa editrice milanese che avvertii che qualcosa
non andava, che la vita era un po’ diversa da quello che mi aspettavo.
E lo cominciai a capire quando conobbi Aura.
Aura
Aura era una donna di 26 anni. Mi sento di dire una donna. Perché
Aura aveva una figlia di due anni: Nicole. Aura si alzava tutte le
mattine alle sei, prendeva 3 autobus e da Crema andava a lavorare a
Milano. Lavorava a Milano perché nel suo piccolo paese di profonda
periferia impieghi ben retribuiti non ce n’erano. Aura aveva studiato.
Aveva frequentato ragioneria. Era una contabile della casa editrice.
Le era sempre piaciuto curiosare tra i libri. Aura era sempre stata
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