E domani - Anna Lussignoli

Fanciulle gravide
Tornata a casa trovai Giulia. Le fossette sulle guance.
“Miriam, sai qual è il mio più grande problema?”
Mi avviluppai al divano e guardai Giulia che si frapponeva tra me e
la classifica musicale su MTV.
“Giulia spostati”. Non volevo raccontare. Non volevo parlare. Volevo
solo ignorare e dimenticare.
Il suo sguardo si sbriciolò davanti al mio. Spensi la televisione e lei
iniziò a sfogliare i suoi sentimenti:
“Il mio momento vuoto è arrivato. Vivo frammentate emozioni, vacui
istanti. Quasi come se fossi null’altro che uno dei miei profili già
vissuti”.
Giulia era ingabbiata come in una rete sottile illuminata da lanterne
giapponesi.
Cominciammo a girare e girare. A muovere i discorsi. A trattenerli e
poi lasciali andare. Ad ogni passo ci allontanavamo e ci rincorrevamo
l’un l’altra. Poi ci avvicinavamo provando a costruire un’individualità
meno mediocre di quella che pensavamo di possedere.
Giulia era un prodotto di se stessa. Si era costruita una forza che non
aveva. Fingeva fermezza, ma mimava solo la rottura del suo personaggio.
Provavamo a stratificare i nostri piani emozionali illudendoci che la
vita corresse in cerchio e che tutto sarebbe tornato. Bastava girare
più forte.
Pensavamo che la California ci avrebbe restituito la forza fisica che
avevamo a vent’anni, quando dormire quattro ore a notte non era
un problema. Pensavamo che ci saremmo di nuovo divertite come
matte, che ci saremmo ancora innamorate ad ogni angolo o, semplicemente,
che avremmo amato ancora.
“Miriam, cosa succede quando scopri quello che stai cercando,
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